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A lezione dall’illusionista che insegna la felicità: “Coltivarla è un nostro dovere nei confronti di chi l’ha persa”

10 mesi fa 15
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Walter Rolfo, poliedrico self made man con laurea in Ingegneria e Psicologia, un passato di autore e produttore televisivo e una straordinaria carriera da illusionista con cinque Guinness World Records, per la Giornata internazionale della Felicità, oggi mercoledì 20 marzo, è sul palco del Forum di Assago di Milano in qualità di happyness coach e presidente della Fondazione della Felicità per la prima tappa l’Happiness On Tour 2024. Sono dieci incontri gratuiti «per studenti e curiosi che vogliono approfondire il tema della felicità e di come possa diventare un obiettivo realistico nella vita di tutti giorni».

Questo non è un momento particolarmente felice per il mondo, anzi. Fa quasi brutto parlare di felicità, quasi che per essere felici di questi tempi ci vuole parecchio egoismo, è d’accordo?
«Viviamo immersi nella comunicazione, così è facile fare confusione tra cosa capita agli altri e cosa a noi. Noi siamo in uno dei momenti più felici, la vita si è allungata, il benessere è diffuso, siamo più liberi che mai. Ci sono sempre più tutele, più cure e attenzione. Per noi intendo noi, che apparteniamo a quel 10 per cento dei fortunati. E credo che per questo abbiamo il dovere di comprendere e rispettare la nostra felicità, per aver rispetto di ciò che di brutto accade mondo.Voglio dire, noi che stiamo vivendo in questa bolla di questo periodo storico dovremmo essere più rispettosi di chi la felicità l’ha persa sul serio. Abbiamo poco diritto di lamentarci. Le parole che usiamo descrivono la realtà, pensiamo a quando si dice che “il Covid è stata una guerra”. Con grande rispetto e nel ricordo di tutte le persone che sono morte nella pandemia, la guerra è altro. Se descriviamo una realtà sbagliata, allora vivremo una realtà sbagliata. Io sono un ottimista e dico di aprire gli occhi e cercare il modo di essere felici».

Che cos'è la felicità? Carattere, fortuna oppure una scelta?
«Esistono infinite ricerche sulla felicità. Secondo la ricercatrice Sonja Lyubomirsky è 50 per cento genetica, 10 quello che ti accade e il 40 un atteggiamento. Vuol dire che il 60 non è sotto il nostro controllo, ma su quello che dipende da noi, se ci impegniamo e ci mettiamo testa, si può lavorare. Io credo che la felicità sia una scelta. È il nostro approccio alla vita che conta, tanto vale cercare di viverla senza sprecare nessuna occasione. Aristotele diceva che la felicità è il nostro fine ultimo».

Con il progetto della Fondazione della Felicità nato più di due anni fa «per regalare ad alunni e docenti programmi educativi gratuiti, contest creativi ed esercizi stimolanti per favorire la creazione di un ambiente scolastico sereno» lei punta a raggiungere l’ambizioso obiettivo di insegnare la felicità «a 2 milioni e mezzo di persone in 5 anni». Come si fa?
«Ragazzi e ragazze sono meraviglioserrimi. Questo è un progetto gratuito per le scuole, pro bono, nato perché mi è venuta voglia di restituire la mia fortuna, che è essere sano e avere una famiglia che amo. Il senso di tutto il nostro sforzo e lavoro sta nei messaggi che arrivano dai ragazzi. Un ragazzo ha portato oggi al Forum circa 300 studenti. Non sono riusciti a convincere i loro docenti, così si sono organizzati da soli perché avevano voglia di parlare di felicità. Un'altra ragazza a Cecina mi scrisse un tema. “Erano due anni che pensavo di studiare all'estero, non ce l’ho mai fatta. Ma dopo il vostro intervento in classe, ho mandato 55 curriculum e domani parto per San Diego. Un incontro può cambiare la vita”. Sarebbe folle pensare di cambiare la vita a tutti quelli che incontriamo, ma se anche solo riusciamo a mettere qualche seme la possiamo considerare una vittoria».


Ci sarà anche il premio per “la classe più felice dell’anno”?
«Sì, il progetto continua nelle classi: la più felice d’Italia,sarà quella che avrà contaminato più persone. Si tratta di regalare tempo a qualcun altro, aiutare qualcuno in difficoltà, passare del tempo in una rsa, fondare una squadra di calcio. Insomma, regalare felicità. L'idea è aiutare a capire che la vita può essere bella soprattutto quando vissuta in una comunità».

Chi salirà con te sul palco delle dieci date del tour?
«Chi sale su questo palco ha una una bella anima e una storia da raccontare che possa essere utile alle persone. Racconto una storia, tra le tante. Flip è un mago prestigiatore, viaggia con l'Onu e con loro porta aiuti e magia. Era a Kabul, non volevano far entrare gli occidentali. Ha iniziato a fare dei giochi di magia per i bambini. Un uomo ha detto che “è la prima volta che vedo mia figlia ridere in cinque anni”, così li hanno fatti passare. Giuro che se hai un sogno, un perché, alla fine sarai felice. C’è una storiella semplice, ma efficace. Tre muratori costruiscono un muro, un tizio gli chiede che stanno facendo. Il primo dice “impasto calce e cemento”, il secondo “il muro”, il terzo invece: “io sto costruendo la casa di dio”. È lo stesso lavoro, solo che il terzo lo vive meglio. I soldi non sono un perché sufficiente per alzarsi il mattino».

Perché parlare di felicità spesso ci fa commuovere?
«Perché ci siamo disabituati al bello, al buono e allo speciale. Abbiamo messo una corazza che ci rende refrattari alle cose brutte, perché ne siamo immersi. Quando c'è qualcosa di bello, questo ci tocca nel profondo. Dovremmo aprire gli occhi per vedere che intorno a noi c’è tantissima e meravigliosa vita. Cerchiamo inconsciamente il male, quando dovremmo cercare il bello. Se ti focalizzi su quello che vuoi vedere, allora lo vedi».

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