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MILANO. Lo aveva già detto davanti ai giudici della Corte d’Appello di Milano dopo l’arresto su mandato di Washington: «Sono un accademico, un professore universitario, non ho nulla a che vedere col terrorismo». Mohammad Abedini Najafabadi, l’uomo dei droni iraniano, lo ha ribadito martedì mattina durante la visita del suo legale, Alfredo De Francesco, e del console iraniano, nel carcere di Opera dove è detenuto: «Sono molto preoccupato per la mia famiglia – avrebbe spiegato – e dispiaciuto di trovarmi di fronte a un’accusa che mi considera al fianco di terroristi».
Dopo un’interlocuzione della difesa con la direttrice dell’istituto, ha potuto per la prima volta telefonare alla moglie in Iran: «È molto spaventato in un Paese che non conosce, in cui si parla una lingua che non conosce – spiega il legale –. In pochi giorni è stato trasferito in tre diversi istituti penitenziari: da Busto Arsizio a Rossano Calabro, poi a Opera. È sostanzialmente in isolamento, non si riconosce nelle accuse contro di lui. È un tecnico, un accademico, non è abituato a situazioni di questo tipo».
È chiara la posizione della difesa che, asserendo «garanzie molto serie» fornite da autorità consolari di Teheran, punta innanzitutto a ottenere i domiciliari per il 38enne in «un appartamento milanese» se non all’interno comunque «legato al consolato». Di certo, «non fuori dalla giurisdizione italiana». E, nelle sei pagine dell’istanza depositata lunedì, il legale prova da una parte a garantire – per quel che è possibile – che dai domiciliari Abedini «non proverà a fuggire», dall’altra a smontare «in concreto la sua pericolosità sociale».
Non solo negli atti, ma anche nel corso dell’incontro in carcere, non si sarebbe fatto alcun riferimento al caso della giornalista Cecilia Sala, arrestata a Teheran il 19 dicembre, tre giorni dopo Abedini, con accuse ancora tutte da formalizzare al di là di una generica e non circostanziata «violazione delle leggi» del Paese. Per l’avvocato De Francesco, non ci sarebbe alcuna «conferma alla correlazione tra i due casi» che sarebbe smentita addirittura dalla «scansione temporale degli arresti». E questo nonostante il consolato iraniano avrebbe iniziato ad attivarsi per Abedini proprio nello stesso giorno in cui la giornalista di Chora Media e il Foglio è stata condotta al carcere di Evin.
La quinta sezione della Corte d’appello ha subito trasmesso l’istanza della difesa alla procuratrice generale Francesca Nanni che ha 5 giorni di tempo per esprimere un parere: potrebbe arrivare tra domani e sabato. Solo dopo verrà fissata la data dell’udienza, non prima di ulteriori 10 giorni a meno che accusa e difesa non rinuncino ai termini, quindi non prima del 13 gennaio. Ci vorrà invece ancora del tempo per decidere sulla richiesta di estradizione avanzata dagli Stati Uniti, che accusano Abedini e un suo connazionale di «cospirazione» per l’esportazione di componenti elettronici sofisticati dagli Usa all’Iran e di «fornire sostegno materiale» alle Guardie della Rivoluzione islamica, inserite da Washington nella lista delle organizzazioni terroristiche e che hanno portato alla morte di tre militari statunitensi uccisi da un attacco con un drone a una base militare in Giordania. I giudici milanesi sono infatti ancora in attesa degli atti di indagine americani.
Rispetto all’istanza di domiciliari, apparirebbe riduttivo paragonare il caso di Abedini a quello del figlio dell’oligarca russo Artem Uss, riuscito a fuggire nel marzo del 2023. Le accuse contro l’ingegnere iraniano - che a differenza di Uss non ha legami familiari o un appoggio in Italia - sono considerate molto più gravi. E questo non può non avere un peso specifico nella decisione dei giudici.