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Ha raggiunto l’adorato marito Taj: Rosita Jelmini Missoni (classe ‘31), ha chiuso gli occhi ieri, nella sua villa di Sumirago. Insieme al consorte, scomparso nel 2013, hanno costituito una colonna storica del made in Italy. Nel 1953, anno del matrimonio della “coppia più bella della moda”, avevano fondato l’azienda di famiglia, nel seminterrato della loro abitazione di Gallarate, iniziando una rivoluzione nella maglieria. Sino a farne l’ingrediente unico del loro stile colorato, unico e riconoscibile a occhio nudo: precursore dell’abbigliamento outdoor. Parlare di Rosita senza Taj, già campione italiano assoluto sui 400 metri nel’38, è impossibile: come descrivere una mela senza il suo cuore di semi. Si erano conosciuti a Londra, alle Olimpiadi del ’48. Lui, dalmata, aitante e produttore di tute da ginnastica a Trieste: lei minuta quanto determinata, figlia di industriali tessili. “Quest’uomo sarà mio”, esclamò la volitiva Rosita.
Se i primi successi li ottengono, producendo per Biki, sarta nipote di Puccini che vestiva Maria Callas, nel ‘58 conquistano i migliori magazzini di Milano, La Rinascente. Rosita ricordava, ridendo, che la prima vetrina della loro maglieria colorata con la quale erano fasciati anche i volti dei manichini, sconvolse i passanti. “Meno male che gli hanno bendato gli occhi”, commentò una coppia. Eppure, proprio la policromia sarà una delle chiavi del successo dei Missoni. La fama internazionale arriva quando Rosita nel ’67, alla sfilata di debutto alla Sala Bianca di Firenze, toglie all’ultimo momento, i reggiseni alle modelle. I riflettori della passerella, illuminano i seni nudi delle indossatrici ed è subito scandalo mondiale. “E ora Missoni porta il Crazy Horse a Pitti”, titola un autorevole quotidiano. Ma proprio questa “oscenità”, crea la fama della griffe nel mondo.
Nel ’70, Missoni è già da Bloomingdale’s: department store più esclusivo di New York. A partire dallo zig zag, oggi motivo iconico del brand, la coppia spinge l’acceleratore sulle fantasie: righe, onde, rose dèco, monumenti della bella Italia. E ancora: motivi etnici; dalle maschere africane, alle geometrie Maya. Parallelamente, Taj crea arazzi patchwork di maglia che partendo nell’81, dalla Galleria Al Naviglio di Milano, andranno in mostra nel mondo. Arte e moda si sposano nei golf patchwork: oggetti di culto amati da Rudol’f Nureev, Balthus e popolarizzati in Italia, da Nino Manfredi in un noto spot di caffè. “Io invento le fantasie - diceva Taj - e Rosita le taglia in vestiti”.
Epocali, i double reversibili, anni ’80, di maglia doppiata in tessuto impermeabile. Ma c’è di più dall’estensione della logica del patchwork, nasce il cosiddetto “put together” (mettere insieme), la mescolanza/stratificazione di capi in fantasie diverse. Una confusione di mondi e culture senza confini, profetica del villaggio globale e del mash-up odierno. Nel ’98 la figlia Angela Missoni assume le redini del brand. Ma Rosita continua a disegnare la home design, animata dalla sua passione per la casa e la famiglia. All’attività di stilista, l’atipica creatrice coi capelli a spazzola e il codino stretto da una laccio per le confezioni, ha sempre associato un amore grande come la sua famiglia, per i tre figli, Luca, Angela e Vittorio. Quest’ultimo scomparso nel 2013 in un incidente aereo nelle acque dei Caraibi e mai ritrovato. A consolarla, lo stuolo di nipoti e gli amici: intellettuali alternativi come Ermanno Olmi. Rosita li riuniva ogni domenica a tavola, per allegre mangiate a base di funghi. Ne era un’appassionata cacciatrice. Tanto che li disegnò anche su una collezione di piatti. In gioventù, durante una battuta, scoprì addirittura una stele della civiltà di Golasecca. Nella storia della moda è scomparsa una stilista, per il mondo un exemplum femminile di professionista-mamma, nonna e bis-nonna: Rosita: nomen omen.