Contro le aggressioni ai sanitari, ormai all'ordine del giorno, c'è chi pensa ad istruire medici e infermieri con le tecniche di difesa personale. Al Policlinico Umberto I di Roma ogni mese medici e infermieri, su base volontaria, frequentano lezioni tenute da esperti esterni, dove si insegna a mettersi in sicurezza, senza recare danno a chi si ha di fronte.
A frequentare il corso è stato innanzitutto il personale del pronto soccorso, il reparto come sempre più esposto alle violenze. Le lezioni sono strutturate su una parte teorica, che insegna a captare i primi segnali della violenza e a mettere in atto precise tecniche di de-escalation dell'aggressività, e su una parte pratica di addestramento.
Il professore Giuseppe La Torre, ordinario di Medicina del Lavoro e direttore della Scuola di specializzazione di Medicina del Lavoro dell'Università La Sapienza di Roma, direttore scientifico dei corsi, ha avuto riscontri immediati. Diversi sanitari hanno riferito di aver messo in pratica le tecniche insegnate. In particolare La Torre ricorda il caso di un operatore, tirato per i capelli da un uomo, che è riuscito in poche mosse a divincolarsi senza subire o arrecare danni.
Ad insegnare teoria e pratica dell'autodifesa al personale sanitario del policlinico romano è lo staff di Adolfo Bei, docente di discipline del combattimento presso l'Università di Cassino e istruttore in palestre e ospedali. Tra loro c'è anche un maestro di judo, Michele Vannacci, che ha formato per anni le forze di polizia a Roma. "L'obiettivo del corso è difendersi e scappare, senza far male", spiega Bei.
Video Medici e violenza, il ciclo dell'aggressivita' in una tesi di laurea
Il ciclo dell'aggressività ha una curva conosciuta: si comincia a livello verbale per arrivare alla minaccia fino, in alcuni casi, alla violenza fisica. Le tecniche di de-escalation devono intervenire subito, al momento dell'aggressione verbale, per evitare che la curva salga, spiega la dottoressa Beatrice Bottini, medico assistente sanitario, con laurea magistrale in Scienze delle professioni sanitarie della prevenzione.
Bottini, da poco laureata, ha scritto una tesi sulle aggressioni al personale sanitario all'interno del policlinico romano. Dai dati raccolti, spiega, è emerso che una parte dei sanitari, seppur minoritaria, concepisce la violenza come "normale" (funzionale, anziché disfunzionale, come dovrebbe essere) all'interno di una situazione di stress come può essere quella all'interno di un nosocomio. La normalizzazione delle aggressioni è lo stesso fenomeno che accade nei casi di violenza domestica e di genere. Laddove si normalizza una situazione violenta, la stessa viene accettata, compresa, non denunciata.
C'è poi anche qui un divario di genere per le aggressioni in ospedale, perché le donne sono più esposte rispetto ai colleghi. Beatrice Bottini racconta di sentirsi più a rischio in quanto donna, ovunque e specialmente in una struttura sanitaria. Nonostante la giovane età, ha assistito ad episodi di violenza e aggressività verbale: nel suo caso è accaduto nel periodo Covid, in un'altra struttura sanitaria, durante la somministrazione dei vaccini.
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