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Pone seri problemi il divieto posto dal questore di Roma alla manifestazione pro-Palestina programmata nell’imminenza del primo anniversario della strage compiuta da Hamas un anno fa. Problematico è sempre il divieto di una manifestazione garantita da una libertà costituzionale. La Costituzione stabilisce che “i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi”. Per le sole riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, “che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”. E “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero”. Non c’è dunque alcuna autorizzazione da chiedere, ma solo un dovere di preavvisare l’autorità, che organizzerà i necessari servizi di ordine pubblico e potrà vietare la manifestazione e il corteo negli stretti limiti ammessi dalla Costituzione. La ragione della manifestazione pubblica, le opinioni che vi si vogliono esprimere e lo stesso modo più o meno polemico ed estremo che si vuole adottare non legittimano un divieto da parte dell’autorità pubblica.
La libertà di espressione, come quelle di riunione e di manifestazione, come ricorda la Corte europea dei diritti umani, “vale non soltanto per le informazioni o le idee che sono accolte con favore o sono considerate inoffensive o indifferenti, ma anche per quelle che urtano, colpiscono, inquietano lo Stato o una qualunque parte della popolazione. È questa un’esigenza propria del pluralismo, della tolleranza e dello spirito di apertura senza i quali non esiste società democratica”. Essa spetta anche agli eventuali contromanifestanti. La condizione è che il comportamento degli uni e degli altri sia “pacifico”, cioè non violento e non ponga a rischio la sicurezza o la incolumità pubblica. Ed è questa la questione su cui interviene l’autorità pubblica, con una previsione, che può indurla a vietare la manifestazione preannunciata. Valutazione delicata e difficile. Da un lato c’è una libertà fondamentale, il cui esercizio è pilastro della democrazia. Dall’altro ci sono le ragioni di sicurezza o incolumità pubblica. Come sempre quando si tratta di diritti o libertà fondamentali, questi vanno definiti estensivamente, mentre le eccezioni e i limiti vanno interpretati restrittivamente. Nel caso specifico il Tribunale amministrativo di Roma a cui si sono rivolti gli organizzatori chiedendo un provvedimento urgente di sospensione del divieto del questore, ha respinto la richiesta ritenendo che la valutazione fatta dall’autorità non sia “manifestamente irragionevole” e ha rinviato al 29 ottobre la discussione del ricorso nel merito. Intanto il divieto del questore resta operativo (e il controllo giudiziario sul suo fondamento sostanzialmente inefficace). Nel valutare il divieto va osservato che esso richiama il rischio di intervento di gruppi anche violenti, ma aggiunge che la manifestazione esprime una volontà celebrativa della strage del 7 ottobre.
Una celebrazione ripugnante, ma che da sola non legittima il divieto del questore, poiché non spetta all’autorità pubblica sindacare e quindi censurare idee che non approva. Potranno darsi espressioni di odio antiebraico o di apologia dei delitti commessi in quella occasione: si tratta di reati che si devono perseguire nei confronti di chi li commette, ma la previsione che vengano compiuti non consente di per sé il divieto di una occasione collettiva di manifestazione. Il divieto è invece legittimo o addirittura doveroso da parte della autorità pubblica se (e solo se) vi sono “comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”. Questi motivi spesso e anche nel caso specifico dipendono dalla previsione, derivante da esperienze del passato, di violenze commesse da gruppi c.d. antagonisti, che infiltrano le manifestazioni, subìti dagli organizzatori e dai partecipanti. Ma in questo modo le autorità di governo, almeno implicitamente, dichiarano di non essere in grado di fronteggiare il disordine e la violenza di quei gruppetti. Allo stesso tempo, se è il caso, esse approfittano del motivo (o pretesto) loro offerto da quei violenti per vietare una manifestazione del tutto lecita, ma che dispiace alle autorità di governo per ciò che vuole esprimere. E certo il divieto non esclude che si verifichino comunque scontri con la polizia, violenze, danneggiamenti.
Quel divieto dovrebbe essere sentito da tutti come un fatto inquietante, suscettibile di rappresentare un precedente reiterabile in altre occasioni. Fatto salvo il rifiuto della violenza, la libertà di manifestare idee non riguarda solo chi vuole avvalersene, ma anche chi ha diritto di sentire le ragioni dei manifestanti, conoscerne il contenuto e essere informato su posizioni che, condivise o meno, sono comunque esistenti nella società e utili al dibattito pubblico. Tanto più quando, come in questo caso, sono in discussione gravissime questioni politiche e umanitarie.