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"Ora dovete riabilitare il mio paese". Una accusa di razzismo totalmente infondata, la verità quasi comica che viene a galla e Luca Zaia che sbotta, serissimo. In Veneto, la regione guidata da due mandati dal "Doge" leghista, è scoppiato il caso "Anèra": una scritta in dialetto sul muro di San Vendiamiano, il paese in provincia di Treviso dove vive lo stesso governatore.
Il termine significa "anatra" ma è stato scambiato per un insulto razzista. A sollevare la polemica era stata una signora di origini nigeriane che da poco ha preso casa proprio a San Vendemiano ma che vive da circa 20 anni in Italia. Lo scorso 5 ottobre, davanti alla sua casa, attaccato a un palo ha visto comparire un cartello, con tanto di protezione in cellophane, con la scritta Anèra m...a. Da qui la denuncia della donna, che interpreta la scritta come un riferimento al colore della sua pelle.
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In realtà, come poi ricostruito da vari media locali, l'oggetto dell'offesa era un ragazzo del posto soprannominato dagli amici "Anèra", anatra, e che proprio il 5 ottobre era convolato a nozze. Una goliardia totalmente fraintesa. Da qui le dure parole di Zaia.
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"La notizia delle presunte offese, diffusa frettolosamente da più parti anche a livello nazionale, è stata poi approfondita e chiarita solo da alcuni quotidiani locali. Se il chiarimento fornito sarà pienamente confermato (e non sembrano esserci dubbi in merito) è evidente che ci troviamo di fronte a un mega-errore, nonché a un tentativo di infangare la nostra comunità basandosi su informazioni inesatte. Non c'è stato alcun atto di razzismo, di ghettizzazione o di ostracismo verso nessuno; questo episodio dimostra che le notizie vanno verificate fino in fondo, comprese le versioni riportate dai testimoni".