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Gli investigatori di carabinieri e polizia più che baby gang li definiscono «cani sciolti» o «bande fluide». Sono gruppi di ragazzi che si conoscono in strada, si aggregano e poi dai quartieri periferici come Barriera di Milano, Aurora o Madonna di Campagna puntano verso il centro in cerca di vittime da picchiare e derubare. Ma anche solo per creare disordine, come è avvenuto nella notte di Capodanno in via Roma, in via Garibaldi e in via XX Settembre, quando hanno sparato grossi petardi in mezzo alla folla. Fregandosene dei divieti e dei controlli delle forze dell’ordine.
Battaglia di petardi e bombe carta a Torino la sera di Capodanno
Rabbia e telefonini
Non rispettano nemmeno i «vecchi» delle loro comunità, i primi immigrati, quelli che una volta garantivano la convivenza con la società. Anzi: sovente, filmano le loro azioni con i telefonini e poi le condividono sui social. Con pose da boss, orologi costosi e collane bene in vista su tute da ginnastica e soldi contanti. Come se fosse una fiction. Ma battono anche altre zone come il parco del Valentino, dove hanno riaperto dei locali ed è tornata la gente. Tutte potenziali prede.
«È un modo per dire “ci siamo anche noi e questo è quello che siamo capaci di fare, vogliamo vivere così”, scimmiottando rapper o trapper che sono i loro esempi”» spiegano gli investigatori che seguono questo fenomeno. «Il problema – continuano – è il senso di impunità che percepiscono, anche perché molte delle bravate che compiono non sono reati».
Le bande
Le bande sono per lo più formate da giovani italiani e da ragazzi di origine marocchina o egiziana, di seconda generazione. Non sono strutturate come quelle milanesi, con capi, gerarchie, segni di appartenenza e controllo del territorio. A Torino ci sono adolescenti addirittura senza famiglia, che dormono dove trovano un giaciglio. Ogni tanto sono identificati e arrestati.
Messi alla prova dopo l’arresto
«Poi vengono messi alla prova, si cerca in qualche modo di recuperarli, ma sovente il provvedimento viene revocato perché tornano a compiere reati – riflette Emma Avezzù, la procuratrice capo dei minori – ma non sono gruppi strutturati. Si muovono in branco con l’intento di sopraffare e derubare non solo coetanei, ma anche dei maggiorenni». «Quello che, però, mi ha colpito di più quest’anno sono i feriti, anche gravi e tutti ragazzini, in seguito all’esplosione di botti» dice la procuratrice.
Denunce e arresti non bastano
Le forze dell’ordine sono impegnate a scandagliare sempre di più un fenomeno che potrebbe anche avere delle evoluzioni preoccupanti. Lo dimostrano i numeri. Quest’anno i carabinieri della Compagnia San Carlo hanno arrestato 48 appartenente a baby gang e ne hanno denunciati una dozzina. Trentacinque sono stati sottoposti al daspo urbano – ovvero non possono girare per il centro città – e 15 sono in attesa del provvedimento.
Gli ultimi fermi, convalidati, i carabinieri li hanno effettuati a Santo Stefano quando hanno preso tre maggiorenni egiziani, rispettivamente di 20, 19 e 18 anni e denunciati altri tre che in piazza Carlo Felice, avevano appena minacciato con un coltello e derubato di 50 euro un ragazzo di 14 anni. Sono stati sorpresi sul bus della linea 4 mentre tornava verso Barriera di Milano.
Qualche mese fa la squadra mobile della polizia aveva invece arrestato undici giovani, tutti immigrati di seconda generazione, dei quali ben sette minorenni. Lo scorso aprile avevano pestato un ragazzo di 24 anni che stava festeggiando la laurea di un suo amico al Parco Dora. Arrivarono con un cane di grossa taglia: «Andate via, qui comandiamo noi».
Dove sono le famiglie
«Spesso mamme e papà vengono convocati per portare a casa i figli che sono stati fermati per aver compiuto dei reati – raccontano gli inquirenti – alcuni di loro scoppiano in lacrime perché, nonostante il contesto sociale fragile dal quale provengono, sono persone che qui lavorano, con tutte le difficoltà. E, forse, sognavano un futuro diverso per il loro figli».