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Bce, affondo sul green deal: «Rallenta la produttività». Il rendimento delle imprese può calare di un terzo in 5 anni

7 mesi fa 39
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Meno emissioni, ma anche meno produttività: il conto (salato) della transizione verde pesa sulle imprese europee. E il costo si farà sentire sia nel breve che nel medio termine, prima di tornare a dare benefici nel lungo, solo grazie a una spinta all’innovazione. Per una volta, siamo fuori dal ring del classico derby europeo politico sull’avvenire del Green Deal. Ma a schierarsi è la Banca centrale europea e lo fa con un report tecnico che accende i riflettori sugli effetti collaterali della svolta ecologica.

Il rallentamento

La Bce fotografa il rallentamento della produttività a causa dei vincoli ambientali e suona l’allarme per una transizione “disordinata” che rischia di penalizzare le aziende del Vecchio continente. Sulla base delle stime realizzate da uno studio pubblicato ieri sul sito dell’istituto centrale con sede a Francoforte, si prevede che una stretta “green” decisa e rigorosa affosserà di circa un terzo in cinque anni le performance economiche delle aziende che inquinano di più. Il report redatto dagli esperti dell’Eurotower prende in esame, nel dettaglio, l’impatto degli shock recenti (pandemia e guerra) e dei cambiamenti strutturali tuttora in corso (oltre alla transizione ecologica, pure quella digitale) sulla produttività dell’Eurozona, alla luce dei dati raccolti in sei tra le più grandi economia nell’area della moneta unica, tra cui l’Italia (oltre a Germania, Francia, Spagna, Portogallo e Belgio). Gli effetti di pandemia e caro-energia sono stati arginati grazie agli aiuti pubblici «generosi e rapidi a livello nazionale ed europeo» che hanno sostenuto famiglie e imprese senza produrre effetti distorsivi sull’economia, scrivono gli autori del report. Dal canto suo, «la transizione verde può stimolare l’aumento della produttività, ma ci vorrà tempo», mette in guardia lo studio della Banca centrale. «Nel breve-medio termine, l’adeguamento delle imprese all’aumento dei prezzi dei fattori produttivi» causato dalle nuove imposte sulla CO2 e dalle tensioni geopolitiche in atto, dalla Russia al Medio Oriente, «ridurrà le emissioni come previsto, ma è anche probabile che riduca la crescita della produttività», si legge nel report.

L'altolà

Un altolà che arriva poche settimane dopo che la Commissione europea ha svelato i suoi nuovi target di riduzione delle emissioni al 2040: dovranno essere il 90% in meno rispetto ai valori di riferimento del 1990, ultima tappa intermedia prima di arrivare all’azzeramento entro il 2050, in linea con l’obiettivo di far diventare l’Europa il primo continente climaticamente neutro al mondo. L’obiettivo, però, non è contenuto in un provvedimento normativo, ma in una comunicazione di orientamento, che dovrà quindi essere confermata nero su bianco, nella legislazione Ue, dall’esecutivo che si insedierà dopo le elezioni del giugno prossimo. Proprio il piano Ue di taglio delle emissioni responsabili del surriscaldamento globale viene citato dallo studio della Bce tra le cause «che stanno modificando i prezzi degli input energetici», insieme al recente «shock energetico nel contesto dell’invasione russa dell’Ucraina». Da qui il monito degli economisti dell’Eurotower: «Anche se i costi della transizione verso un’economia a basse emissioni di CO2 saranno sempre inferiori rispetto a quelli dell’inazione, rimane importante capire come questi cambiamenti influenzano le decisioni di produzione e le prestazioni delle aziende. I maggiori costi dei fattori produttivi dovuti all’aumento dei prezzi dell’energia e delle emissioni di CO2 (nel quadro degli schemi di scambio delle quote, ndr) potrebbero frenare la crescita della produttività a breve termine»; un impatto negativo che, tuttavia, «potrebbe essere compensato a lungo termine dall’adozione di nuove tecnologie più ecologiche e digitali». 

L'impatto

L’impatto sulla produttività, prosegue il documento prendendo come esempio le imprese più inquinanti, cambia a seconda del tipo di stretta considerata: se le politiche di sostegno pubblico a ricerca e sviluppo “green” attraverso sovvenzioni hanno un effetto negativo solo nella fase di transizione prima di incrementare la crescita della produttività, al contrario le politiche di mercato rischiano di presentare «effetti persistenti e negativi, anche se quantitativamente ridotti». Tra queste misure rientrano la nuova imposta sul carbonio alla frontiera (Cbam), cioè il prelievo sulla CO2 emessa nella produzione extra-Ue, e il sistema Ets di scambio delle quote di emissione che realizza, per i settori industriali che generano più CO2, il principio secondo cui “chi inquina paga”. Ad avere l’impatto maggiore sui cinque anni osservati sono, però, gli strumenti non di mercato, come i limiti regolatori alle emissioni. Solo nel lungo periodo, stima la Bce, arriverà la schiarita, perché la svolta “green” porterà con sé un’ondata di innovazione e di tecnologie verdi in grado di sostenere la produttività delle imprese del Vecchio continente. 

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