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Al distributore il prezzo del pieno di gasolio - almeno fiscalmente - è destinato a salire, quello della benzina invece potrebbe scendere. Nel tentativo di recuperare fondi per la prossima manovra - mancano ancora all’appello tra i 10 e i 12 miliardi - nelle ultime ore si sta rafforzando l’ipotesi di alzare l’accisa sul diesel fino a sei centesimi e - per limitare il salasso sugli automobilisti come gli effetti inflattivi sull’economia italiana - di abbassare di altrettanti sei l’imposta erariale sulla verde.
IL CONTO
L’Unem, l’associazione che raccoglie i petrolieri italiani, ha calcolato che l’aumento delle accise sul diesel costerebbe a 26 milioni di famiglie fino a 70 euro all’anno. Questa stima dà per scontato che il governo voglia parificare le aliquote su questo carburante e sulla benzina e sulle quali c’è una differenza di circa 13 centesimi.
Cioè voglia mettere applicare nella maniera più estensiva quanto scritto in poche righe nell’ultimo Piano strutturale di bilancio, che sarà inviato a breve a Bruxelles: «Utilizzare il riordino delle spese fiscali (tax expenditures) in determinati ambiti di tassazione, come l’allineamento delle aliquote delle accise per diesel e benzina e/o politiche di riordino delle agevolazioni presenti in materia energetica, come leva strategica per conseguire simultaneamente gli obiettivi di incremento dell'efficienza del sistema fiscale italiano e sostegno al pieno raggiungimento della strategia di transizione energetica e ambientale a livello europeo e nazionale». Tradotto: l’erario incassa più tasse e la qualità dell’aria migliora.
Ma il governo sembra voler seguire un altro concetto di “allineamento”: non equiparare verso l’alto le accise dei diversi carburanti, ma alzarne una e abbassare l’altra. A quel punto sarebbe complicato accusare l’esecutivo di alzare la pressione fiscale, dopo che in passato la stessa presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, aveva stigmatizzato il peso delle imposte erariali sui carburanti. Non a caso il forzista Alessandro Cattaneo ieri faceva notare: «Non è questo il momento di aumentare le tasse, noi siamo liberali».
In realtà è l’Europa a chiedere all’Italia e a tutti gli Stati membri di incrementare la tassazione sul gasolio. O meglio, a spingerli a tagliare le agevolazioni sulle forme di energie inquinanti, in primis quelle fossili: più precisamente bisogna ridurle di 2 miliardi entro il 2025 e di altri 3,5 miliardi entro il 2030. Non a caso questa filosofia ha trovato spazio sia nella delega fiscale sia negli obiettivi del Pnrr.
Il Belpaese mette circa 16 miliardi sui cosiddette Sad (Sussidi ambientali dannosi), in un mare magnum che comprende l’accisa più bassa per il diesel (valore 3,1 miliardi di euro), le agevolazioni per fare il pieno alle barche dei pescatori come i trattori degli agricoltori fino allo sconto per il gasolio usato a Campione d’Italia per il riscaldamento. In passato le categorie interessate hanno sempre difeso strenuamente queste risorse.
Intervenire su questo capitolo non soltanto impopolare. L’aumento delle accise sul diesel rischia di aver un effetto inflattivo che in questo momento tutte le economie non possono permettersi. Senza dimenticare i rincari legati alle tariffe della logistica, di chi trasporta le merci, destinate a scaricarsi sul consumatore finale. Non a caso ieri dal mondo degli autostraportatori la Cna Fita ha avvertito la politica: «In soli sei mesi i costi di esercizio di un veicolo pesante sono aumentati tra i 2mila e i 4mila euro l’anno. Vanno casomai introdotte norme che consentano alle imprese di recuperare i costi di esercizio direttamente in fattura».