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“Pique non ha capito un ca**o, nonostante sia stato un grandissimo campione”
Esordisce così Paolo Bonolis ospite di DoppioPasso podcast. Quello che ha detto nel video, che vi invito a guardare nella sua interezza, mi ha fatto molto riflettere. Voglio condividere queste considerazioni con chi avrà voglia di leggerle.
Quasi due anni fa, ho avuto la fortuna di frequentare il corso allenatori di Coverciano (UEFA B). Insieme a me c’erano tantissimi campioni: Ribery, Diamanti, Hernanes, solo per citarne alcuni.
Tre elementi accomunano tutti loro e anche tutti noi partecipanti:
- La grande passione
- Il sacrificio, il duro lavoro, la dedizione, un’ossessione quasi (necessaria per arrivare a certi livelli, perché sì, come in tutte le cose, non è tutto oro ciò che luccica)
- Preoccupazione.
Spiego meglio il punto 3.
Anni fa (e la cosa ha accomunato tutti noi partecipanti) la prima “scuola calcio” non era il campo regolamentare delle organizzatissime academy, ma la piazza, il parco, il cortile con gli amici e anche il salotto dei genitori.
Quello che oggi viene identificato con il sempre più raro “calcio di strada”, ma che in realtà era un modo naturale di vivere l’infanzia. Un’infanzia fatta di jeans sporchi di erba (nella migliore delle ipotesi), di ginocchia sbucciate, dei rimproveri della mamma perché si tornava a casa tardi e di felicità negli occhi [e anche di “ma quella è femmina, non può giocare”… ma questa è un’altra storia].
A Coverciano, i docenti si sono detti preoccupati per il futuro del mondo del calcio, osservando bambini che non sperimentano più quella spensieratezza nei gesti tipici dell’infanzia. L’incoscienza dei bambini del passato ha lasciato in eredità a quelli del futuro, un sentimento molto più adulto: IL TIMORE. Questo ha condotto ad una generazione di bambini e ragazzi con capacità motorie inferiori e ad una soglia dell’attenzione bassissima.
“I bambini hanno perso l’abitudine ad annoiarsi”. Una frase che mi colpì molto del docente Stefano Bonaccorso, (responsabile del settore giovaneli dell’Atalanta).

Quella frase mi è risuonata nella mente per tanto tempo. Ed eccomi qui a scriverla dopo quasi due anni. Ma secondo voi, i grandi campioni non si sono annoiati? Non voglio fare una riflessione troppo filosofica, ma facciamo ancora un passo indietro.
Cosa è davvero la noia?
“Senso o motivo di malessere interiore, connesso a una prolungata condizione di uniformità e monotonia e talvolta associato a impazienza, irritazione, disgusto”.
Se penso alla mia infanzia, credo che sia stata totalmente segnata dalla “prolungata condizione di uniformità e monotomia”. Ore ed ore passate insieme al pallone in condizione di totale uniformità e monotonia; e io da quella condizione ero ossessionata; dipendente. (E lo sono stata fino allo scorso anno).
Una continua sfida di perfezionismo, con me stessa e con me i miei amici, più (lo scrivo solo perché devo) o meno bravi di me.
Questo mi porta a pensare che forse è proprio questo che costruisce il talento, il campione. È proprio in quello che oggi bambini e ragazzi percepiscono come sentimento di noia che è insito e si costruisce il talento. E non mi riferisco solo al calcio.
Il successo è la risposta appassionata del genio; la soluzione della creatività alla noia; l’esaltazione dell’estro a supporto dell’esercitazione e la costanza.
Ecco perché mi trovo pienamente d’accordo con Paolo Bonolis
“L’essenza del calcio è insita in quel mix di tecnica, tattica, strategie, ma soprattutto, nell’attesa di qualcosa che potrebbe accadere, ma anche no (come dicono i giovani). L’apoteosi di un solo gol all’ultimo minuto, o il fallimento di quell’ultimo rigore che determina la sconfitta; sono emozioni che 120 canestri o una partita finita 5 a 2 non potranno mai restituire”
E’ nella nostra natura vivere e emozionarci per quell’attivo che dura meno di un seconso, con la consapevolezza che potrebbe anche non arrivare mai.
Kings League e calcio, un paragone sbagliato
La Kings League è un prodotto interessantissimo e divertente; con partite pirotecniche, che regalano allo spettatore uno spettacolo al confine tra sport e intrattenimento. Uno show che, per sua natura, è distante dalla logica della performance: stakanovista, maniacale, perfezionista e per questo restia a lasciare spazio all’errore.
Ecco, la KL è un’alternativa interessante ma imparagonabile al calcio. È questo il punto in cui Bonolis chiude la partita vs Piquè in un divertentissimo e secco 1 a 0.
Dalla mia piccola esperienza, la vita da atleta professionista è fatta di duro allenamento: fisico, emotivo e mentale. Perfezionare le proprie skills individuali e quelle collettive, studiare l’avversario, costringerlo all’errore, giocare sulle sue debolezze, valorizzando allo stesso tempo le proprie qualità. Nell’esaltazione del singolo attraverso il gruppo, e viceversa.
COSÌ COMPLESSO NELLA SUA INCODIFICABILE SEMPLICITÀ.
E quando tutto questo porta a uno 0-0, non significa necessariamente che la partita sia stata noiosa, anzi, proprio per questo potrebbe essere stata una gara perfetta dal punto di vista tecnico-tattico.
Forse il mio punto di vista è frutto della mentalità ossessiva trasferitami dal mio ultimo allenatore. O forse, sarà che la mia carriera da calciatrice è stata legata all’attesa di un gol che non è mai arrivato. Un calcio di rigore come Baggio a mondiali (tirato anche peggio se possibile).

Un’emozione tanto grande, seppure terribile, credo di non averla mai provata. Eppure quella partita, finì proprio con uno 0-0.
Eppure il mio cuore è ancora lì a terra, su quel dischetto, in attesa di quel gol.