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Cecilia Sala, accordo con Teheran per la liberazione: Giorgia Meloni sonda Donald Trump

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Agire sottotraccia, certo. Ma anche in fretta. Prima dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca il 20 gennaio, se i margini lo consentiranno. Così da poter eventualmente scaricare la responsabilità sull’amministrazione Biden e sui vertici delle agenzie di intelligence a stelle e strisce in uscita. E da provare a contenere i danni della prevedibile irritazione degli Usa, che Giorgia Meloni si è mossa preventivamente per provare ad arginare. A Palazzo Chigi resta massimo il riserbo sulle mosse per riportare a casa Cecilia Sala, la reporter del Foglio e di Chora Media prigioniera da 18 giorni del carcere di Evin, con la generica accusa di «aver violato le leggi della Repubblica islamica». Tanto che neanche la Farnesina era stata informata della missione della premier nella residenza del tycoon a Mar-a-Lago, tenuta segreta fino all’ultimo (nonostante un post su X di Andrea Stroppa, il referente in Italia di Elon Musk, che in serata aveva fatto nascere qualche sospetto). Una scelta inevitabile, considerata la delicatezza della situazione e l’appello al silenzio stampa dei genitori della cronista. 

Giorgia Meloni in volo verso gli Stati Uniti, missione da Trump: sul tavolo anche la questione Cecilia Sala

LA MOSSA

E per quanto l’incontro venga derubricato dagli staff come un appuntamento «già previsto» tra i due per discutere di un ampio ventaglio di temi caldi, dai dazi sui prodotti europei all’Ucraina, è chiaro che l’interesse di Roma fosse quello di portare al tavolo la questione della giornalista italiana di fatto tenuta in ostaggio a Teheran. Questione inestricabilmente legata, come ormai chiarito anche dal regime degli Ayatollah, alla detenzione nel carcere milanese di Opera dell’ingegnere iraniano Mohamed Abedini, che gli Stati Uniti considerano appartenente a un’organizzazione terroristica. 
E così, ecco la suggestione che nelle ultime ore ha preso sempre più corpo, in ambienti di governo: dire no all’estradizione di Abedini chiesta dagli Usa. E provare in questo modo a chiudere nel più breve tempo possibile la partita Cecilia Sala con l’Iran, raggiungendo una forma di accordo con il regime. Per questo si sono intensificati i contatti di Roma con gli Stati Uniti. Sia con l’amministrazione di Joe Biden, che sarà nella Capitale il prossimo fine settimana per un ultimo viaggio prima del passaggio di consegne, sia con lo staff di Trump. La cui entrata in carica, è il timore dell’Italia, potrebbe irrigidire ulteriormente le posizioni di Teheran, riducendo i margini di manovra per Palazzo Chigi. Ecco perché la premier italiana ha preferito cogliere al volo l’occasione di un faccia a faccia con il presidente eletto, così da sondarlo di persona. E da rendersi conto di quanto sia possibile spingere sulla strada del no all’estradizione, e in quel caso di quali potrebbero essere i danni in termini di rapporti con Washington. Potendo contare, e non è un atout da poco per Meloni, sulla sponda dell’amico Elon Musk. 

GUERRA OMBRA

Il tema del resto è oggetto di dibattito anche negli Stati Uniti. Con un articolo del Wall Street Journal che ieri ha definito la vicenda di Cecilia Sala «un test per il governo italiano», che è finito coinvolto nella «guerra ombra» tra Iran e Usa. Anche il quotidiano a stelle e strisce dà conto dell’ipotesi dell’esecutivo di negare l’estradizione per Abedini: Meloni, scrive il Wsj, è «sempre più sotto la pressione dell'opinione pubblica per assicurare un rapido rilascio di Sala». Ma «se l'Italia rilasciasse Abedini» respingendo la richiesta di estradizione, «rischierebbe di irritare il presidente eletto Donald Trump - che rinnoverà la sua strategia di massima pressione sull'Iran - e di danneggiare lo sforzo di Meloni di posizionarsi come uno degli interlocutori preferiti di Trump in Europa». Ecco perché anche per il foglio americano «l'esito più conveniente sarebbe un accordo rapido per la liberazione di Sala in cambio del rilascio di Abedini, prima che Trump si insedi il 20 gennaio». Una via stretta, viene fatto notare, sia per «il lento sistema giudiziario italiano che deve valutare la richiesta di estradizione» sia per «il funzionamento interno del regime iraniano». Ma che bisogna provare a percorrere.
Domani intanto il caso Sala approderà in Parlamento con la convocazione del Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, dove alle 14 è atteso il sottosegretario di Palazzo Chigi Alfredo Mantovano per riferire sulla detenzione della reporter. E coinvolgere così anche le opposizioni, come era stato richiesto. 
 

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