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Cecilia Sala è prigioniera, purtroppo e dannazione, e #cecilialibera è un coro per una volta di una unanimità bella, auspicabile, necessaria. Libera da cosa, è la subordinata immediata.
Dal totalitarismo islamista liberticida e misogino, dalla notte teocratica in cui l’unico diritto è costituito dalla sharia e dall’arbitrio degli ayatollah.
Se la detenzione della giornalista italiana nel carcere di Evin (destinato espressamente a reprimere il dissenso e tetramente noto per la sistematica violazione dei diritti umani) innesca quell’orrore unanime, è perché di fronte al volto, alla storia, alla persona con la cui penna e la cui voce abbiamo confidenza quotidiana, le costruzioni ideologiche franano, gli esotismi intellettuali evaporano, le idealizzazioni codarde del regime si sfaldano.
E' semplicemente orrendo, essere in una galera iraniana per aver esercitato la libertà di stampa e d’espressione, ed è orrendo esattamente perché c’è un nesso tra le due cose. Non è orrendo da ieri mattina però, da quando è stata battuta la notizia che nessuno avrebbe voluto dare, Cecilia da dieci giorni in mano alla Repubblica islamica. Lo è dall’aprile 1979, quando venne appunto proclamato un tal genere di Repubblica. Con le parole di allora dell’ayatollah Khomeini: «Non solo una Repubblica, non una Repubblica democratica. Non usate la parola “democratica” per descriverla. Questo è lo stile occidentale» (...)