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Cecilia Sala, quelle informazioni fatte uscire ad arte da Teheran: cosa c'è dietro la denuncia della reporter

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Maurizio Stefanini 03 gennaio 2025

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«L’abbiamo trattata bene, ora liberate Abedini» è il modo in cui l’ambasciatore iraniano in Italia Mohammad Reza Sabouri ha risposto alle rimostranze di Tajani nel corso di un incontro durato un’ora, al quale era presente anche il segretario generale del ministero, l’ambasciatore Riccardo Guariglia. Sembra umorismo nero, dal momento che invece in Italia sono arrivate informazioni in base alle quale la starebbero trattando malissimo, e che hanno suscitato un’ampia riprovazione. Ma è stato lo stesso regime di Teheran a volere che queste informazioni arrivassero, col permettere alla giornalista imprigionata di telefonare alla famiglia e al compagno. Da cui la chiara sensazione che si tratti di un ricatto preciso. Come dire: guardate, che è solo l’inizio. Se non vi piegate, potremmo far ben peggio. «In questo amichevole colloquio», si legge in una nota dell’ambasciata iraniana, «si è discusso e scambiato opinioni sul cittadino iraniano Mohammad Abedini, detenuto nel carcere di Milano con false accuse, e della signora Cecilia Sala, cittadina italiana, detenuta in Iran per violazione delle leggi della Repubblica islamica».

Da notare che ciò di cui Abedini è accusato si sa, e quello di cui è accusata Sala, no. «L’ambasciatore ha annunciato in questo incontro che sin dai primi momenti dell’arresto, secondo l’approccio islamico e sulla base di considerazioni umanitarie, tenendo conto del ricorrente anniversario della nascita di Cristo e dell’approssimarsi del nuovo anno cristiano, si è garantito l’accesso consolare all’ambasciata italiana a Teheran, sono state inoltre fornite alla signora Sala tutte le agevolazioni necessarie, tra cui ripetuti contatti telefonici con i propri cari e ci si aspetta dal governo italiano che, reciprocamente, oltre ad accelerare la liberazione del cittadino iraniano detenuto, vengano fornite le necessarie agevolazioni assistenziali di cui ha bisogno».

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In effetti, da ciò che Sala ha avuto il permesso di dire, sappiamo che nella cella in cui sta in isolamento non c’è neanche un letto. Deve dormire per terra, tra due coperte: una sotto, per rendere il contatto meno ruvido; una sopra, per proteggersi dal freddo che chi è stato in quel carcere descrive come «pungente», e anche coprire gli occhi per dormire dal momento che la luce al neon non viene mai spenta. Per questo, nel pacco che le aveva mandato l’ambasciata c’era anche una mascherina, oltre a quattro libri, sigarette, cioccolato, maglioni e un panettone. Ma non le è stato mai consegnato, a differenza di quanto il regime aveva assicurato. Anzi, le hanno addirittura tolto gli occhiali da vista, il che per chi ne ha bisogno può già iniziare a configurarsi come tortura. «Fate presto», ha detto Cecilia nelle tre telefonate che ha potuto fare il primo dell’anno alla madre, al padre e al compagno Daniele Raineri.

La cella è lunga quanto lei, e non vede nessuno dal 27 dicembre, giorno in cui ha incontrato l’ambasciatrice Amadei. Non vede neanche le guardie, visto che le passano il cibo da una fessura della porta. In compenso, si sa che le danno molti datteri. E l’unica altra cosa che le hanno dato è un elastico per i capelli. Il bello è che, secondo l’articolo 38 della Costituzione iraniane, la detenzione in isolamento non sarebbe neanche consentita. Ma il primo a “violare le leggi” che esso stesso ha fatto finta di darsi è proprio il regime. Altri che sono stati detenuti a Evin confermano: si tratta di una strategia precisa e deliberata. E oggi nuova puntata: l’ambasciatrice italiana Amadei è stata convocata a Teheran.

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