I dati sull’occupazione del mese di febbraio sono complessivamente positivi. Rispetto a gennaio, ci sono 41mila persone in più con un lavoro e 46mila che un lavoro lo cercano. Quest’ultimo risultato è da valutare positivamente perché è accompagnato da una riduzione degli inattivi, ovvero coloro che non cercano un’occupazione, pari a 65mila unità. Gli inattivi corrono il rischio di restare fuori dalla forza lavoro per molto tempo. Perdono, così, capitale umano e capacità di produrre ricchezza. Pertanto, quando calano è senza dubbio un bene. Tuttavia, per capire fino in fondo cosa sta realmente accadendo al nostro mercato del lavoro è necessario disaggregare i dati. Nella fascia 25-49 anni l’occupazione sale (mediamente dello 0,3 per cento) e il tasso di inattività scende. Tra i 15 e i 24enni, invece, avviene il contrario: il tasso di occupazione scende (dello 0,4 per cento) e quello d’inattività sale. Simile dinamiche risultano ancor più evadenti se si guardano i numeri depurati dalla componente demografica: gli occupati nella fascia 15-34 anni scendono dello 0,2 per cento mentre quelli nella fascia 35-64 anni aumentano del 2 per cento. Questi dati, seppur di natura ancora provvisoria, indicano con chiarezza le due sfide che il governo dovrà affrontare nei prossimi anni: la formazione e la demografia. Andiamo con ordine e cominciamo con la formazione. I disoccupati devono poter trovare un lavoro in tempi relativamente brevi. Hanno, quindi, bisogno di Centri per l’impiego capaci di offrire percorsi formativi individuali. Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) sono previsti circa 600 milioni per riformare i cinquecento centri esistenti. L’intervento è indispensabile e urgente. Il rischio è quello di sprecare le risorse europee. Sotto questo aspetto, i dati disponibili non lasciano ben sperare. Per inserire circa tre milioni di disoccupati di lunga durata con il programma Garanzia Occupabilità dei lavoratori (GOL), il Pnrr ha previsto cinque miliardi di foni europei. I dati Anpal mostrano che, ad oggi, solo uno su tre dei partecipanti al programma è occupato dopo sei mesi oppure è coinvolto in una misura di supporto. E’ chiaro che senza Centri per l’impiego efficienti non si potranno ottenere risultati soddisfacenti. La seconda sfida è quella della demografia. Gli effetti di un Paese con sempre meno giovani e che, per di più, invecchia sono drammatici nel medio e lungo termine. Ma lo sono anche nel breve: i dati sull’occupazione lo dimostrano. Lo si è scritto già diverse su questo giornale. La curva demografica si inverte aumentando l’occupazione femminile: da questo punto di vista, l’Italia è in fondo alla classifica europea. L’occupazione femminile aumenta se ci sono sufficienti infrastrutture, quindi asili nido e infrastrutture per la cura degli anziani. Anche in questo caso, il nostro Paese vanta numeri drammatici e di gran lunga inferiori alla media europea: meno di un bimbo su tre trova un posto in un nido; al Sud meno di uno su otto. La versione iniziale del Pnrr includeva la costruzione di 264.480 posti in più. L’obiettivo è stato rivisto al ribasso: entro il 2026 i posti saranno 150.480, ovvero centomila in meno. Eppure, è proprio dai posti negli asili che inizierebbe la ripresa del Paese.
Centri per l’impiego, l’intervento è urgente
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