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«Giravamo da un paio di giorni quando Clint arrivò sul set per la prima volta: era un primo piano e lui se ne stava lì col suo cappello, il poncho e il sigaro, mormorando la sua battuta. Poi arrivò il ciak ma non successe niente, nessuna recitazione, nessuna espressione del viso, nessuna declamazione del testo... Nella troupe ci siamo guardati preoccupati: e questo sarebbe il tizio intorno a cui ruota tutto il film?». È l’immagine più vivida del protagonista di Per un pugno di dollari impressa nella memoria di Marianne Koch, unico ruolo femminile di rilievo - l’altra donna, Margarita Lozano, era la moglie di John Baxter - nella parte di Marisol, rapita dal cattivissimo Ramon Rojo di Gian Maria Volontè.
Sessant’anni fa, in Almeria, Sergio Leone girava la pellicola destinata a rivoluzionare il western, anche se nessuno dei protagonisti poteva immaginarselo, e Marianne era lì con loro. Avrebbe lasciato il cinema di lì a pochi anni per completare gli studi di medicina e poi lavorare come medico per altri venti, prima di diventare giornalista scientifica, attività che svolge tuttora. Oggi che ha 93 anni, le sue impressioni sulla lavorazione del film sono nitidissime: «Due giorni dopo le prime riprese ci ritrovammo in un piccolo cinema per visionare i giornalieri e successe una strana cosa: c’era Clint col cappello e il poncho e la reazione di tutti fu Wow!, perché è vero che non aveva recitato, ma potevi vedere cosa pensava e sentiva nel suo ruolo dello straniero. È qualcosa che non puoi imparare, è un dono, un talento, Clint ne aveva in abbondanza e noi eravamo felici!».
L’aneddotica sull’espressività dell’attore americano ruota su una frase celebre di Leone, che Eastwood avesse due sole facce, una col cappello e una senza, ma a Marianne piace citarne un’altra: «C’è la storia di Sergio che incontra Clint per la prima volta all’aeroporto di Roma, e la sua prima impressione fu: “Ora penso di capire cosa deve aver provato Michelangelo davanti al blocco di marmo che stava per trasformare nel David”». Sul piano personale, invece, era schivo e sulle sue: «A quel tempo era un attore americano sconosciuto che aveva fatto qualche western di serie B ed era una persona timida e di poche parole, molto diverso dalla maggior parte degli attori che ho conosciuto, col loro forte bisogno di attenzioni».
In compenso aveva già idee molto chiare sul suo futuro artistico, anche se nella troupe facevano fatica a dargli credito: «Ci diceva che presto sarebbe diventato un regista che avrebbe realizzato da solo i propri film, il che, al momento, sembrava un’idea piuttosto audace... Siamo rimasti in contatto amichevole per alcuni anni, anche quando era diventato il regista famoso che è tuttora». Riguardo a Volontè, che in un’intervista all’Unità aveva liquidato la prima esperienza con Leone con la necessità di pagarsi i debiti di una pièce teatrale andata male con «un filmetto fatto in fretta e furia», salvo poi tornare a lavorarci in Per qualche dollaro in più, Koch non ha molto da dire se non che «era un attore italiano famoso e affascinante con cui ho avuto molto poco a che fare».
Di Sergio Leone, invece, conserva un ricordo meraviglioso: «Una persona incredibile, un grande regista, un uomo di grande cuore e, ai miei occhi, la quintessenza dell’italianità col suo amore per la gente, l’architettura, il buon cibo e la vita». Un episodio su tutti: «La sua famiglia era quasi sempre con lui e spesso cenavamo tutti insieme con la troupe in qualche bel ristorante, con Clint che si univa. Una volta Sergio disse: Marianna, vieni con noi, stiamo andando a un fantastico ristorante di pesce. Guidammo per più di un’ora per un centinaio di curve lungo la costa per arrivarci, più un’altra ora e mezza al ritorno e il tempo del pranzo. Pensai: sono pazzi questi italiani, ma venivo dal grigio dopoguerra in Germania e ho amato quel modo di godersi la vita».
Un’ultima annotazione sul mondo tutto maschile che la circondava sul set di Per un pugno di dollari, fra colleghi attori (con l’eccezione già citata di Margarita Lozano), tecnici e macchinisti: «Il loro atteggiamento era amichevole, disponibile, empatico. Magari sembrerà strano, ma nei miei vent’anni di carriera cinematografica non ho mai avuto problemi di sopraffazione o insidie sessuali, nessuna difficoltà di ordine MeToo con attori, produttori o altri uomini con qualche potere. Penso fosse per la mia diversa attitudine verso il cinema: ero una studentessa di medicina quando mi fu offerta la prima parte in un film e ho sempre saputo che un giorno sarei tornata all’università e sarei diventata un medico, così non sono mai stata dipendente da produttori e registi».