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Cognetti: 'Vivo, ma morto: i miei giorni in psichiatria'

2 giorni fa 2
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"In primavera e d'estate, senza un apparente perché, sono stato morso dalla depressione. Nelle scorse settimane invece, sceso dal mio rifugio sul Monte Rosa, ero in una fase bella e creativa. Un giorno mi sono accorto che il mio pensiero e il mio linguaggio acceleravano. Gli amici mi hanno fatto notare che facevo cose strane. Il 4 dicembre il medico ha disposto il Tso: trattamento sanitario obbligatorio".
Così lo scrittore e regista Paolo Cognetti, in un'intervista a Repubblica, racconta di un suo ricovero a causa di una "grave depressione sfociata in una sindrome bipolare con fasi maniacali".

   Dimesso martedì, ha deciso di parlare della sua esperienza "per dire pubblicamente che le malattie nervose non devono più essere una vergogna da nascondere e che la risalita comincia accettando chi realmente si è".

   E ricorda: "Mi sono ritrovato sotto casa un'auto della polizia e un'ambulanza. Sono stato sedato: da inizio dicembre, causa farmaci, non ho fatto che dormire".

   Per 'rivedere la luce', spiega, "nel mio caso ci vuole ancora tempo. Resto un anarchico, ma in ospedale ai medici devi obbedire. Ti svegliano alle sei di mattina e ti obbligano a bere subito due bicchieroni di tranquillanti. Sei vivo, ma è come se fossi morto. Avrei cercato di guarire risalendo piuttosto in montagna, o partendo per un viaggio. Dal reparto psichiatrico di un ospedale esci solo se dici e se fai esattamente ciò che chi ti cura si aspetta". 

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