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Come battere l’inflazione strisciante

7 mesi fa 36
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Siamo riusciti, almeno per il momento, a sconfiggere il Covid. C’è però un altro virus per il quale non abbiamo per ora trovato una cura, o un vaccino, veramente efficace: l’inflazione. L’inflazione si aggira in gran parte del mondo e le banche centrali esitano ad abbassare i tassi, come è avvenuto nella settimana che si è appesa conclusa, con grande delusione delle borse mondiali. Certo, non si tratta di una patologia troppo violenta: non uccide le economie ma rende insicure e vulnerabili le società che assale, crea dei veri e propri fossati tra chi ne è più e chi meno colpito e riduce la crescita sin quasi ad annullarla.

La medicina tradizionale, ossia il rialzo dei tassi di interesse, fa calare la febbre ma sfianca il malato: la crescita dell’economia, infatti, non precipita ma si ferma in zona “zero virgola”, l’occupazione tende a ridursi e a diventare meno sicura e più fragile. A questo punto, la ricetta normale consisterebbe nel controbilanciare queste tendenze inserendo nel sistema economico un ricostituente, sotto forma di denaro fresco, reso disponibile attraverso politiche pubbliche, ossia con un’azione governativa, una politica industriale. Non come quelle di una volta – pure efficaci ai loro tempi migliori – che hanno visto lo Stato diventare ferroviere, costruttore di autostrade, gestore di reti elettriche e via dicendo; una politica che aiuti i privati, soprattutto le imprese medie ed energiche, a investire in settori innovativi.

Tutto questo, però, ha un costo elevato. E per un paese come l’Italia già gravato da una montagna di debiti pubblici – quasi una volta e mezzo il Pil – rimane comunque difficile proporre ai mercati un debito aggiuntivo. Non siamo, però, l’unico paese in difficoltà: in quasi tutta l’Unione Europea e anche in molti altri paesi avanzati, a cominciare dagli Stati Uniti, in questi anni difficili il debito ha superato il pil e un ulteriore, sostanzioso indebitamento risulta difficile da realizzare. E allora? Allora l’inflazione rimane lì, come una febbriciattola strisciante, non una vera emergenza, quanto basta per costringere il malato a fare pochi e lenti passi invece di provare a correre. Un’inflazione “appiccicosa” (sticky inflation, l’ha definita Financial Times) derivante da prezzi che non cambiano tutti i giorni ma il cui lento aumento resiste alle cure e impedisce quella ripartenza scattante che sarebbe nei desideri di tutti.

Un’ulteriore difficoltà a ripartire deriva dalla vecchiaia, non solo demografica, ma anche organizzativa delle nostre società. L’economista americano Mancur Olson la definì “sclerosi istituzionale”: l’effetto frenante di gruppi di interesse nei confronti di possibili cambiamenti radicali nel modo di produrre e nella distribuzione del reddito. In Italia si potrebbe aggiungere un altro effetto frenante: la difficoltà dell’apparato burocratico a realizzare semplificazioni e mutamenti fuori dalla tradizione e che ne sminuirebbero il ruolo. La fatica nel realizzare nei tempi stabiliti gli investimenti finanziati dal Pnrr ne è un chiaro esempio.

Un secondo fattore frenante è quello che si può definire il morbo di Baumol, dal nome di un altro economista americano che lo descrisse negli anni Sessanta. Grazie ad automazione, elettronica e intelligenza artificiale, la produttività del lavoro tende ad aumentare rapidamente nelle produzioni industriali (e, si può aggiungere, anche in una parte moderna, ma molto minoritaria, del terziario avanzato), mentre aumenta molto lentamente – o addirittura ristagna - nel terziario normale.

I lavoratori dell’industria riescono così a ottenere aumenti salariali molto meno difficilmente di quelli del terziario; questi ultimi cercano di spostarsi dove si guadagna di più e così le imprese del terziario hanno difficoltà a trovare lavoratori (ne sono un esempio gli annunci per ricercare commessi che compaiono talvolta nelle vetrine dei negozi). Di fronte alla carenza di lavoratori, le imprese non possono che aumentare i prezzi. Oppure potrebbero automatizzare il servizio, ma sono pochi quelli che preferiscono, tanto per fare un esempio, prendere il caffè da una macchinetta invece che farselo preparare da un barista con il quale si possono anche scambiare quattro parole. In sostanza, quest’inflazione che si attenua ma non scompare nasconde importanti problemi strutturali. E di certo non basta che le grandi banche centrali decidano di far diminuire il costo del denaro. Occorre una riflessione sociale e politica molto più profonda.

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