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Due operazioni al seno, oltre tre mesi di chemioterapia all’ospedale di Terni e una maledetta recidiva, comparsa dopo poco tempo, che l’ha costretta ad un’altra snervante e debilitante chemio, questa volta all’ospedale de Lellis di Rieti. Poi, quando per Laura - 50enne commessa in un supermercato del capoluogo sabino - sembrava essere tornato il sereno, è giunta una nuova mazzata: la raccomandata di licenziamento, consegnata brevi manu, dal direttore del punto vendita dove prestava servizio. Motivazione semplice quanto cruda: Laura aveva superato i 180 giorni di assenza consentiti dalla legge che danno diritto alla conservazione del posto. Centottanta giorni vissuti lottando contro un maledetto tumore.
LA BEFFA
A rendere il licenziamento ancora più amaro, la beffa di una telefonata giunta a Laura un mese prima dallo stesso direttore del supermercato. Siamo a fine novembre del 2021, le feste natalizie si avvicinano, le domeniche sono tutte lavorative e con esse turnazioni più frenetiche. Il personale non abbonda e il direttore chiede a Laura la disponibilità di tornare al lavoro. Laura stenta a crederci. Per lei è un sogno. Dice sì senza esitare e si fa l’intero mese di dicembre alla cassa del supermercato. La vita sembra essere tornata a sorriderle.
Ma il 29 dicembre, quando viene chiamata in direzione, invece dei turni del mese successivo le viene consegnata la lettera di licenziamento. Il buio è di nuovo sceso sulla sua vita. Ma il coraggio con il quale aveva sfidato la malattia non l’ha abbandonata. E con la stessa determinazione inizia una battaglia legale contro l’azienda con la quale lavorava da oltre dieci anni. A sostenerla è l’avvocato Chiara Mestichelli del foro di Rieti.
LA VITTORIA
Una battaglia durante oltre due anni ma che nei giorni scorsi l’ha vista finalmente vincitrice. Il giudice del lavoro di Rieti, Francesca Sbarra, ha sentenziato che il supermercato dove lavorava Laura ha prodotto un recesso dal contratto «illegittimo per prolungata inerzia datoriale», richiamando al lavoro la stessa commessa ben oltre i 180 giorni di assenza previsti per legge. Il giudice ha quindi condannato il legale rappresentante della società a reintegrare la dipendente e a risarcirla con un’indennità da calcolare dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettivo rientro. La sentenza, in particolare, ha disposto il reintegro della commessa ritenendo violato l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (abolito nel 2015, ma la ricorrente era stata assunta prima di quell’anno), provvedimento che assume ancora maggiore rilevanza in quanto applicato nei confronti di un’azienda con meno di 15 dipendenti dove, in caso di licenziamenti discriminatori, sono previste forme diverse di risarcimento. Nel merito della causa, a essere sconfessata è stata la contestazione del superamento del periodo di comporto, indicato come causa della risoluzione del rapporto. «La sentenza - spiega l’avvocato Chiara Mestichelli - oltre a ristabilire i sacrosanti diritti della lavoratrice licenziata, fa passare un messaggio che travalica il singolo caso e abbraccia la necessità di garantire la stessa tutela a tutti i malati oncologici. Oggi, in materia, esiste una discrezionalità dettata dai singoli contratti di categoria e che troppo spesso equipara la malattia oncologica a quella ordinaria. Bisogna invece giungere a una normativa uguale per tutte le categorie di lavoratori e che tratti in maniera specifica le assenze del malato oncologico».