Home SignIn/Join Blogs Forums Market Messages Contact Us

Dicker: “Le rivolte dei bambini ci ricordano cosa è la libertà”

1 settimana fa 7
ARTICLE AD BOX

Partiamo dalla fine. Abbiamo appena terminato di parlare con Joël Dicker del suo ultimo libro, discutendo molto di bambini, della loro libertà, della loro sete di futuro e giustizia. Questa è l’ultima domanda: come potranno parlarsi e convivere tra venti anni due bambini che oggi vivono (o cercano di sopravvivere) a Gaza e in Israele? Dicker abbassa un poco gli occhi, si ferma un attimo, cerca da qualche parte la forza per rispondere, la trova: «Dobbiamo fidarci del passato. In tutto il Medio Oriente le persone hanno trovato il modo di vivere insieme per migliaia di anni, nonostante terribili difficoltà. Succederà di nuovo, succederà ancora. Ognuno dovrà prendersi le proprie responsabilità e sono certo che un giorno si potrà tornare a vivere insieme». Lo sguardo di Dicker è commosso, sa che ha appena scommesso sulla speranza e sul futuro di quei bambini. E sa cosa vuol dire. Un’ora prima avevamo iniziato a parlare del suo ultimo libro, La catastrofica visita allo zoo, pubblicato in Italia da “La nave di Teseo” e che come al solito è stato in cima alle classifiche da quando è uscito. Racconta la storia di una bambina e della sua classe di bambini speciali, di un caso che devono risolvere, delle assurde regole degli adulti, della democrazia. Lo possono ovviamente leggere i ragazzi, ma se lo leggono i loro genitori non sbagliano.

Il suo libro mi ha ricordato Pinocchio. Anche lì un bambino doveva destreggiarsi tra le regole degli adulti e il suo desiderio di libertà.

«È vero, avevo chiaro in mente Pinocchio quando ho avuto l’idea per questa storia. Ma me ne sono voluto allontanare. Perché volevo portare la storia da un’altra parte, togliere ogni cupezza, creare qualcosa da una differente prospettiva, più positiva».

Perché ha scelto di raccontare una storia attraverso la voce di una bambina?

«Perché la prospettiva dei bambini è la prospettiva della libertà. I bambini hanno la tendenza ad avere sempre ragione, a dire sempre la verità rispetto a quello che hanno di fronte a loro, o almeno la loro verità, senza troppe sovrastrutture. A volte a loro sfugge il contesto, per interpretare quello che succede. Così volevo una storia in cui ci fosse la purezza e la semplicità dello sguardo dei bambini».

Come sarebbe stata questa storia raccontata dalla voce di un adulto?

«I fatti sarebbero stati gli stessi, ma la storia sarebbe stata completamente differente. Perché gli adulti analizzano gli accadimenti attraverso una serie di filtri e regole che i bambini non considerano in nessuna maniera».

Nel libro c’è una storia d’amore tra adulti, ovviamente complessa, ma che agli occhi dei bambini sembra semplicissima.

«Esattamente così. Per i bambini se ami una persona non c’è nessun problema: è così, non ci sono sovrastrutture. Se la ami la ami. Ma poi crescendo tutto diventa più complesso».

Il libro mette di fronte gli adulti all’assurdità del castello di regole che si danno, probabilmente per vivere meglio ma che alla fine ci imprigionano. Perché lo facciamo?

«Perché pensiamo che ci proteggano, che ci servano. Certo, le regole ci rendono più sicuri e fanno funzionare il mondo ma ci contorniamo di troppe regole e di troppe assurdità. Anche quando ci accorgiamo che le cose sono terribilmente complicate, ci diciamo da soli che sono sempre state fatte così. Ma agli occhi dei bambini potremmo ricostruire questo mondo in maniera più semplice, in modo che abbia più senso. E dovrebbe essere così: non si può sprecare la vita in cose assurde».

Questa storia mette gli adulti di fronte a uno specchio?

«Sì. E ci fa chiedere: come sono finito dentro questo groviglio di convenzioni e strutture? C’è anche la questione dell’istinto. Quando siamo bambini siamo istinto al 100% e questo ci fa essere così selvaggi e liberi. Poi perdiamo istinto e sensibilità e diventiamo altro».

Lo scrittore è un bambino?

«Essere uno scrittore significa essere un osservatore del mondo. Ma sento anche di essere molto connesso con il mio essere bambino. Da una parte, ovviamente, il processo della scrittura è diventato molto diverso per me negli anni: ho acquisito tecnica, motivazioni, allenamento. Ma iniziare una nuova storia, vederla arrivare e affrontarla dall’inizio, per me è assolutamente la stessa cosa di quando ero bambino. È la stessa sensazione che immagino provi un giocatore di calcio professionista quando scende in campo: ci sono delle cose molto serie e costruite attorno, ma lui, quando entra in campo, quando gioca, quando segna, sono certo che abbia la stessa emozione di quando correva in un campo con i suoi amici da piccolo. Tutte le altre cose cambiano, ma il sentimento rimane lo stesso. Il processo di scrittura mi manda gli stessi segnali e la stessa energia».

Quanto c’è di lei bambino o dei suoi due figli nei personaggi di questo libro?

«C’è sicuramente molto di me e dei miei figli, ma a livello inconscio. C’è sicuramente un sentimento generale nel loro atteggiamento che ci somiglia. Ma il fastidio per le regole assurde nasce da una cosa successa davvero. Ero in un McDonald’s con mio figlio più piccolo e lui ha chiesto un hamburger con solo i cetrioli come condimento. Glielo hanno fatto, mettendo una piccola fetta di cetriolo. Mi ha chiesto se si potesse avere ancora una fettina di cetriolo e gli ho risposto che avrei subito chiesto e non ci sarebbero stati problemi. Invece mi hanno risposto che non era possibile per espressa proibizione del manager del locale: niente seconda fetta di cetriolo. Il che mi ha fatto infuriare non per quel cetriolo in sé ma per la stupidità della regola. Quel fastidio per le regole assurde l’ho portato in questa storia».

Oltre al fastidio per le regole assurde, i bambini sentono l’indignazione per l’ingiustizia?

«Sì, i bambini si arrabbiano molto - e giustamente - per le ingiustizie, soprattutto quelle che riguardano il loro posto nella società, i diritti la libertà. Si accorgono molto presto dell’ingiustizia di una società in cui c’è chi spreca il cibo e chi non ne ha abbastanza, magari nella stessa città o addirittura nella stessa scuola. E si arrabbiano - sempre giustamente - perché noi adulti non sappiamo risolvere il problema».

In questo libro si parla anche di democrazia. E dei nemici della democrazia, che si chiamano “fascisti”. Lei vede, in Europa e negli Stati Uniti, un concreto pericolo fascista?

«Per me il tema della democrazia è molto importante. E mi preoccupa la gente che non va a votare. Quindi volevo parlare in questa storia che magari sarà letta anche dai più giovani della necessità della democrazia e del voto per realizzare i propri desideri e una società più giusta e libera. E purtroppo sì, c’è un pericolo di nuovo fascismo, diverso da quello storico, ma fondato sulla negazione dei diritti degli altri, primo tra tutti al diritto di esprimersi liberamente. La chiusura del confronto è la vera paura».

Ho ancora una domanda da farle: è sui bambini che soffrono. Ha ancora tempo?

«Per una domanda così sì. Anche perché sento la fortuna di dover correre a prendere i miei a scuola tra pochi minuti».

Ci sarà un futuro per i bambini di Gaza e di Israele?

«Ognuno deve prendersi le sue responsabilità e ricominciare a lavorare per vivere insieme. Quel futuro ci sarà».

Leggi tutto l articolo