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«Malandata, malmessa, mia figlia non si lavava più. Si tagliava e poi si copriva dei grossi maglioni. Mai avuto un buon rapporto con il padre: è una storia brutta, di abusi, lasciamo perdere i dettagli. A 15 anni peggiora, tenta il suicidio, anche se non si muore con le medicine che ha preso. Arriviamo in ospedale e ci ricoverano in psichiatria. Sono quasi felice, penso: siamo nel posto giusto. Adesso mi aiuteranno. Lì scopro che indossava il binder, una specie di corpetto per comprimere il seno. Io non l’avevo mai visto. Mi parlano tra le altre cose di disturbo dell’adattamento, ansia sociale e sospetta disforia di genere. Mi propongono un percorso valutativo con un incontro ogni venti giorni. Passano due mesi, la valutazione è già finita: è un caso di disforia di genere, mia figlia può passare alle terapie ormonali bloccanti e da lì il cambio di sesso. Mia figlia sembra convinta, io mi blocco. Non riesco a pensare, chiedo che cosa comporta questa terapia. Potrà avere dei figli? No, mi dicono. Ma problema c’è signora, farà l’utero in affitto. E il sesso, come farà a capire che non è questo il corpo che vuole, se nemmeno sa come funziona? Non capisco, faccio altre domande, chiedo cosa ne pensa lo psichiatra. Mia figlia, accanto a me, mi guarda come se fossi scema. Ci siamo sempre volute bene, ora ho paura. Se non do ragione a lei, a questo medico, mi odierà. Esco da lì e sono terrorizzata, non so che fare. Così è iniziata la nostra storia».
E non solo la sua. Le storie delle oltre 150 famiglie che negli ultimi anni si sono rivolte a GenerAzioneD sono tutte diverse, ma le domande destinate a restare senza risposta, almeno per ora, almeno in Italia, sono le stesse. Quanti sono gli adolescenti e pre-adolescenti che hanno ricevuto una diagnosi di disforia di genere? Quanti di loro hanno iniziato una terapia con la triptorelina e quanti poi l’hanno interrotta? «Ci hanno accusati di essere di estrema destra, dei bigotti, fanatici religiosi finanziati in segreto da non meglio definite lobby – racconta un’altra mamma di GenerAzioneD, anche lei come tutti gli altri genitori con l’ovvia richiesta di anonimato -. Sarei felicissima di comparire, mostrare a tutti che su di noi si dicono un sacco di fesserie. Ma non posso. Per tutelare la privacy di mio figlio, non la mia». GenerAzioneD denuncia «un uso spropositato delle prescrizioni off label della terapia dei farmaci bloccanti» e «prescrizioni frettolose e superficiali» anche in presenza di situazioni di sofferenza psichica complessa, proprio «com’è successo a Londra».
Dopo due anni di studi il governo inglese mette al bando i farmaci per fermare lo sviluppo dei minori con problemi di identità
Ma cosa è successo a Londra? Dopo uno studio durato due anni, la settimana scorsa il governo inglese ha messo al bando i farmaci bloccanti della pubertà perché «non c’è garanzia sulla loro sicurezza». La vicenda inglese inizia con la decisione di affidare l’esame dei casi di sospetta disforia di genere a un centro nazionale unico, sotto controllo pubblico: la Clinica Tavistock di Londra. Nel 2022 la Commissione d’indagine presieduta dal pediatra Hilary Cass iniziò a esaminare i sempre più numerosi casi sospetti di una prescrizione sbrigativa dei farmaci bloccanti della pubertà. La domanda che rimbalza nei racconti e nelle riflessioni delle famiglie che hanno deciso di unirsi in GenerAzioneD è la stessa che si sono fatti i giudici inglesi nel caso di Keira Bell, oggi 23enne, che ha ricorso contro la clinica londinese Tavistock pentita per i trattamenti ormonali e chirurgici per la transizione da donna a uomo: come si può decidere di rinunciare a un corpo che ancora nemmeno si conosce? I giudici inglesi hanno deciso di non entrare nel merito di «vantaggi o svantaggi» dei trattamenti adottati per curare la disforia di genere, ma ha sottolineato che trattandosi di terapie «innovative e sperimentali» va presa in considerazione la possibilità che vengano somministrate previa «autorizzazione del tribunale». Come racconta la cronaca locale, una ragazzina con disturbo dello spettro autistico di 15 anni, aggiuntasi al contenzioso avviato da Keira, si è battuta per confutare la validità del consenso informato accordato a sua figlia quando ha deciso di cambiare sesso.
La paura dei genitori di Viola e dell’associazione GenderLens: “Ora non sospendete i trattamenti”
Ma GenerAzioneD non è l’unica associazione sul campo. Al Careggi di Firenze tanti sono arrivati con il passaparola, soprattutto grazie al lavoro dell’associazione GenderLens, che si occupa di minori con «un genere creativo» e si fa carico dei dubbi e delle paure dei genitori. Quello dell’ospedale fiorentino è un centro unico in Italia e da qualche mese sotto la lente d’ingrandimento del ministro della Salute Orazio Schillaci per verificare i «percorsi relativi al trattamento dei bambini con disforia di genere e all’uso del farmaco triptorelina». I genitori dell’associazione GenderLens dopo l’ispezione al Careggi l’associazione ha scritto una lettera aperta al senatore Gasparri. Ora sono preoccupati, temono che percorsi terapeutici e trattamenti ormonali siano interrotti. E i loro figli, che sembrano aver finalmente trovato la strada giusta, abbandonati. Ne parlano Claudia e Andrea, i genitori di Viola. Sono già stati in Spagna per assicurarsi che, qualsiasi cosa succeda, lei potrà iniziare i trattamenti ormonali a settembre. Per poter dare a loro figlia «il futuro sereno che merita» sono disposti a trasferisi tutti insieme in Spagna.
Con GenerAzioneD e GenderLens sarebbe facile ricalcare il gioco degli schieramenti opposti: gli uni da una parte e gli altri dall’altra, destra e sinistra, conservatori e progressisti. Ma è sbagliato: sono tutte famiglie in cerca di soluzioni e risposte, in un senso e nell’altro con tutti dubbi e questioni a cui la società scientifica internazionale non è riuscita ancora a dare una risposta univoca.
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E in Italia? Al via il tavolo del comune del ministero della
Salute e del ministero della Famiglia
Un anno fa sul tema intervenne la Società psicoanaltica italiana, che per voce del presidente Sarantis Thanopulos scrisse al governo per esprimere «grande preoccupazione» e «forti perplessità» riguardo all’uso dei bloccanti della pubertà. «La diagnosi di “disforia di genere” in età prepuberale – fece notare la Spi – è basata sulle affermazioni dei soggetti interessati e non può essere oggetto di un’attenta valutazione finché lo sviluppo dell’identità sessuale è ancora in corso», mentre «solo una parte minoritaria dei ragazzi che dichiarano di non identificarsi con il loro sesso conferma questa posizione nell’adolescenza, dopo la pubertà». Dopo l’ispezione del Careggi ieri, lunedì 25 marzo, ministero della Salute e ministero della Famiglia hanno annunciato un tavolo comune, promosso dai ministri
Orazio Schillaci ed Eugenia Roccella «sulla problematica della
disforia di genere dei minori, a partire dall'utilizzo della
triptorelina, il farmaco bloccante della pubertà».
Il tavolo di tecnici ed esperti, la cui composizione verrà completata nei prossimi giorni, è «finalizzato all’elaborazione di nuove specifiche linee di indirizzo, alla luce di una ricognizione
della letteratura scientifica e delle esperienze di altri Paesi
che, dopo aver promosso una pratica estensiva di questi farmaci,
stanno rivedendo le proprie posizioni».
Il primo passo, proprio com’è accaduto in Gran Bretagna, sarà contarsi e capire di quanti casi si sta parlando, con l’avvio «di
una ricognizione presso le Regioni relativamente al monitoraggio
clinico e di spesa e alle prescrizioni di triptorelina per i casi di disforia, e alla richiesta di una relazione ad Aifa sulle indicazioni terapeutiche per la somministrazione del farmaco». Tsvolo che ha già incassato la promozione bi-partisan. «Finalmente prende il via un lavoro istruttorio sulla disforia di genere dei minori – commenta Luana Zanella, capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera -. Quando abbiamo appreso che tali linee sono inesistenti abbiamo chiesto con una risoluzione, insieme alla collega Marianna Madia, che vengano subito definite anche per risolvere la questione dell'utilizzo della triptorelina, il farmaco bloccante della pubertà: o esistono basi scientifiche collaudate per la sua somministrazione o non va usato».