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ROMA. Scorre l’ora più buia per l’Iran, dove Shirin Ebadi non torna dal 2009. La sua gente è stanca, dice al telefono dall’esilio itinerante la premio Nobel per la pace: stanca che il governo sostenga economicamente Hezbollah anziché costruire ospedali e frenare l’inflazione, stanca che prenda ordini da Mosca e che massacri ogni giorno le coraggiose donne senza hijab. Stanca, ma fiera: «Gli iraniani sono convinti che il regime debba essere rovesciato dal popolo e non dalla pressione esterna, pena l’anarchia del post Saddam in Iraq». Tutto il resto è countdown di guerra.
Ieri mattina, durante il sermone funebre per Nasrallah, l’ayatollah Ali Khamenei, fucile alla mano, ha ribadito la legittimità del raid di martedì sera su Israele e ha avvertito di poter colpire ancora. Le minacce della Repubblica islamica sono tattiche, c’è una strategia o rivelano debolezza?
«Credo che l’attacco iraniano sia stato una mossa sbagliata e che, arrivati a questo punto, potrebbe scatenare una guerra molto più grande».
Israele spera che l’escalation spinga un cambio di regime in Iran. È ipotizzabile?
«Israele ha dichiarato più volte che risponderà all’Iran ed è verosimile che colpirà obiettivi militari o impianti petroliferi. Dubito che possa puntare a infrastrutture come le reti elettriche: no, non arriverà a tanto. Anche perché, in un caso del genere, la popolazione, disperata, finirebbe per schierarsi con il governo».
Mentre Teheran rivendica la guida dell’asse della resistenza e il ministro degli esteri Araghchi atterra a Beirut per ribadire la linea della fermezza contro l’“entità sionista”, molti iraniani si rallegrano della morte di Nasrallah. Quanto conta per i suoi connazionali la causa palestinese?
«Il governo iraniano ha sostenuto economicamente e militarmente Hezbollah sin dal giorno della sua nascita, nel 1982. E questo ha sempre scontentato il popolo iraniano che da allora si chiede, con rabbia crescente, perché mai debba pagare le spese dei miliziani di un altro Paese e cosa condivida con il partito di Dio. I soldi iraniani devono essere investiti per le scuole, gli ospedali e il benessere dell’Iran. In tutti questi anni non c’è stata manifestazione in cui, tra le altre cose, la gente non gridasse all’indirizzo del governo: “Molla Hezbollah, pensa a noi”. No, la maggioranza dei miei connazionali non ha mai approvato questa politica del governo».
Israele ha messo a segno colpi importanti negli ultimi mesi È possibile che una parte del regime stia già lavorando al dopo Khamenei?
«Tutti ammettono che l’intelligence israeliana sia molto infiltrata in Iran: è così che è riuscita a trovare e uccidere il leader di Hamas Haniyeh ed è così che ha finito molti altri miliziani di Hezbollah facendo esplodere i cercapersone. È stato un crescendo, fino all’assassinio di Nasrallah. Questa evidente permeabilità al Mossad ci dice una cosa, per certo: che l’apparato di sicurezza iraniano è molto debole e inaffidabile».
A distanza di qualche mese si è fatta un’idea più precisa della morte del presidente Raisi? È stato un incidente?
«Ci sono state molte speculazioni sulla sorte dell’elicottero, in cui hanno perso la vita il Presidente e il ministro degli Affari Esteri. La versione governativa attribuisce l’incidente al maltempo. Ma personalmente non ci credo. Quanto è accaduto negli ultimi mesi – dall’assassinio di Haniyha a Teheran all’attacco dei cercapersone a Beirut fino alla decapitazione di Hezbollah - suggerisce un sofisticato lavoro dei servizi israeliani ma anche un aiuto assicurato da dentro l’Iran».
Che ripercussioni può avere sulla Repubblica islamica il ridimensionamento delle sue milizie proxy, Hezbollah decimato, gli Houthi bombardati, la debole Siria sotto tiro?
«Il regime ha sempre proclamato la sua forza anche in virtù degli alleati - dagli houthi a Hezbollah fino ad Hamas e alle milizie irachene - che, in caso di necessità, sarebbero stati disposti a combattere per la causa. Ne andava molto fiero, ripeteva che l’avrebbero difeso. Invece Israele ha distrutto una dopo l’altra le milizie filo-iraniane e poi è arrivato a Teheran. Mi addolora che la politica sbagliata della Repubblica Islamica, centrata sull’idea del dover “distruggere Israele”, abbia prodotto tutto questo. Siamo davanti a una guerra dalle conseguenze insondabili».
Da due anni le donne tengono testa ai pasdaran. La spallata al regime in difficoltà può arrivare dalla società?
«Nonostante la dura repressione le donne iraniane continuano a sfruttare ogni occasione per opporsi all’obbligo dell’hijab. Ogni giorno, in molte strade e nei centri commerciali alla moda, se ne vedono a capo scoperto. Naturalmente la polizia religiosa le bracca. Ma la battaglia è ancora in corso».
Anche in queste ore ci sono in Iran scioperi contro il carovita. Che tipo di pressione possono esercitare sul regime?
«Tutti i giorni in Iran qualche pezzo della società protesta contro i prezzi sempre più elevati. Questa insoddisfazione è un segno evidente della distanza tra il governo della Repubblica islamica e la sua gente, un vulnus che mina dal profondo la legittimità del regime».
Che ruolo ha la diaspora?
«Se per diaspora intendiamo i gruppi etnici fuori dall’Iran, loro sono, come sempre, contrari alla Repubblica Islamica. In generale comunque, gli iraniani, così come i gruppi etnici, sono convinti che il regime debba essere rovesciato dal popolo. Non crediamo che un attacco militare e una pressione esterna possano portare l’Iran alla democrazia: l’invasione americana dell’Iraq e la destituzione di Saddam Hussein hanno prodotto l’anarchia e un aumento dell’influenza iraniana nel Paese».
Quanto pesa per l’Iran l’alleanza con la Russia e dove può portare ora che le due guerre, quella in Ucraina e quella con epicentro a Gaza, sembrano incrociarsi?
«Il popolo iraniano sa che la Russia non è un alleato dell’Iran ma che usa l’Iran come una carta da gioco da spendere contro l’Occidente e da mostrare all’America per provare la propria influenza. La mia impressione è che quando gli iraniani raggiungeranno la democrazia non interromperanno le relazioni con la Russia ma le cambieranno in un rapporto di reciprocità. Oggi la situazione è che Mosca ordina e la Repubblica islamica obbedisce: gli iraniani non lo accettano».
Scoppierà il mondo prima del voto americano o scoppierà dopo, se vincesse Trump?
«Gli Stati Uniti non sono il centro dell’universo a cui legare le sorti degli altri Paesi. Prima delle elezioni americane potrebbero succedere molte cose, potrebbe esserci una guerra nella regione».