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Emiliano e il caso Decaro: “Sono stato io il primo a denunciare. Con il sindaco siamo amici fraterni”

10 mesi fa 10
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BARI. «Cambiate il destino dei vostri figli». Nei vicoli di Bari vecchia, camminava senza scorta. Parlava soprattutto alle donne, per tentare di convincerle «a non educarli alla pedagogia mafiosa». Un po’ sindaco e un po’ magistrato, con un passato anche nella Direzione distrettuale antimafia, Michele Emiliano voleva essere il primo cittadino di tutti, «anche di coloro che avevano avuto a che fare con la giustizia». Perché la rieducazione e il reinserimento sociale sono un obbligo. Per capire il presente, guardare il passato. Oggi al suo secondo mandato alla guida della regione Puglia, in questi giorni - insieme al sindaco Antonio Decaro - è finito nel vortice delle polemiche. Ma lui si dice «molto sereno».

Tornando indietro, racconterebbe ugualmente l’ormai noto aneddoto di Bari vecchia?
«Certo che lo racconterei, e continuerò a farlo, solo che avvertirei tutti della possibilità che qualcuno possa manipolarlo per invertirne il significato. Io ho imposto in modo fermo e dialogante il rispetto delle regole a chi credeva di poter prendere decisioni al mio posto, impedendo la realizzazione della ztl a Bari vecchia. Spiegai che l’assessore Decaro lavorava per me e dovevano averne rispetto. Lo facevo forte della mia storia di vita dedicata totalmente all’antimafia - prima da magistrato che aveva fatto condannare centinaia di mafiosi, omicidi e trafficanti di droga - parlando alla sorella di un uomo che avevo indagato e fatto rinviare a giudizio e che, proprio a causa delle mie indagini, era stato condannato all’ergastolo».

In qualche modo ha fatto un passo indietro, dicendo che – se Decaro non ricorda - è probabile che in quella casa ci sia andato solo lei.
«Nessun passo indietro. Ho ricordi nitidi benché risalenti a 17/18 anni fa, ma di fronte al fatto che Decaro non lo ricorda devo prenderne atto. A quel tempo, non sapeva certo distinguere una donna di Bari vecchia dalla sorella di Capriati e può essere che non ricordi o che, davanti a lei, sia stato distratto da altre persone davanti al basso dove abitava. Ma questo non è importante. Ero andato lì per proteggerlo e dialogare con coloro che non volevano la chiusura al traffico di Bari Vecchia».

Da sabato scorso, lei e Decaro vi siete più sentiti?
«Io e Antonio ci sentiamo da venti anni più volte al giorno. Lavoriamo insieme e siamo amici fraterni».

Che sentimento prova in questo momento per l’immagine che sta emergendo di Bari?
«Né rabbia né amarezza. I baresi sanno quello che è accaduto e come abbiamo trasformato la città vecchia da fortino dei clan al luogo più bello e attrattivo per cittadini e turisti».

Che città era Bari?
«Quando sono diventato sindaco, era una città perduta, con tutti i teatri chiusi ed uno, il Petruzzelli, addirittura bruciato dalla mafia, dove non si costruiva una casa popolare da trent’anni, dove le periferie non erano collegate dalle metropolitane di superficie che ci sono adesso, dove non c’erano turisti e neppure centri di ricerca e sedi di grandi multinazionali come oggi, dove l’ecomostro di punta Perotti non era ancora stato demolito e dove si voleva costruire nell’amianto della Fibronit».

C’è un episodio in cui ha avuto paura?
«Paura mai, pur essendo consapevole che tanti magistrati e sindaci antimafia erano stati uccisi proprio per la loro capacità di cambiare la mentalità dei giovani e delle famiglie dei quartieri più difficili».

Quando, per la prima volta, ha percepito che il cambiamento – in positivo – era ormai innescato?
«Proprio l’episodio che ho riferito in piazza mi diede la prova o, meglio, la speranza che ci potevamo riuscire. Non solo Decaro riuscì a terminare il lavoro senza ulteriori problemi, ma riuscimmo anche ad acquisire le case dei Capriati a piazza San Pietro che erano state confiscate. Oggi quelle case ospitano centri sociali rispettati dai cittadini e utilissimi alla loro vita quotidiana».

Va detto che il vero nodo per un’ipotesi di commissariamento del comune sono le presunte assunzioni pilotate all’interno di Amtab. Cosa accadde quando lei era sindaco?
«Sono stato il primo, nel 2011, a denunciare ai miei colleghi della Direzione Distrettuale Antimafia la presenza del clan Parisi nell’Amtab chiedendo che s’indagasse. Ci sono voluti 13 anni per completare gli accertamenti e arrestare alcuni esponenti del clan che avevano commesso reati. Non è facile neppure con intercettazione ambientali e telefoniche accertare i reati di mafia e persino la Procura ci ha messo molto tempo».

Quindi Bari è una città mafiosa o no?
«Come tutte le città italiane, Bari ospita organizzazioni mafiose attualmente ben represse dallo Stato e fortemente sgradite ai cittadini che sanno isolarle».

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