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Eugenia Roccella: «Donne, sale l?occupazione. L?educazione sessuale? Non riduce i femminicidi»

13 ore fa 1
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Eugenia Roccella, ministra per la Famiglia e le pari opportunità, con il ddl varato dal Consiglio dei ministri di venerdì il femminicidio diventa un reato punibile con l’ergastolo. Avrà un effetto deterrente?

«Innanzitutto va detto che questa è una legge completa, non c'è solo il reato di femminicidio, ma anche altre misure come quelle per informare le donne e le loro famiglie in merito a quanto accade durante tutto l’iter giudiziario. Aver introdotto il femminicidio nel Codice è un segnale forte, e l’ergastolo non è il punto fondamentale».

Qualche detrattore sottolinea che l’ergastolo era già previsto per fatti riconducibili a femminicidio, in virtù delle aggravanti. Sbaglia chi parla di tendenza "panpenalista" del governo?

«Il punto non è l’aggravio della pena, ma il fatto di differenziare il femminicidio dal consueto omicidio, non perché sia più grave, ma per le motivazioni alla base: ha le sue radici nella differenza uomo-donna e nella cultura che produce il senso di possesso, l’assoggettamento e la discriminazione. Focalizzare l'attenzione sul femminicidio vuol dire togliere questa falsa neutralità dal Codice e dire la verità: nella storia umana c’è un’asimmetria di potere che produce anche il femminicidio. La repressione di questo reato è inserita anche tra i quattro pilastri della Convenzione di Instanbul».

C’è poi un capitolo di misure destinato ai magistrati...

«Un riferimento alla formazione era contenuto anche nella precedente legge, ma la scuola superiore di magistratura, finora, aveva fatto pochissimo da questo punto di vista, quindi aver inserito l’obbligo della formazione è importante. Ricordo anche il libro bianco per la formazione sulla violenza di genere, destinato a tutti gli operatori, ed elaborato dalle esperte del comitato tecnico-scientifico dell’Osservatorio sulla violenza contro le donne».

Ci sono 500mila euro per formare gli insegnanti «riguardo alle tematiche della fertilità maschile e femminile», ma c’è chi chiede più impegno sul fronte dell’educazione alla sessualità e all’affettività, dove oggi gli istituti vanno in ordine sparso. Sarebbe necessaria un una legge ad hoc?

«I dati europei dimostrano che nei Paesi dove c’è l’educazione sessuale nelle scuole non c’è un calo dei femminicidi, anzi per esempio in Svezia sono più che in Italia. Per adeguare le politiche ai bisogni servono dati concreti. Con Valditara e la Fondazione Cecchettin, piuttosto, abbiamo insistito molto sull’educazione al rispetto».

Il Global Gender Gap Report, che misura il progresso globale verso la parità di genere, nel 2024 ha posto l'Italia all’87° posto (su 146 Paesi), in discesa di 8 posizioni rispetto al 2023. Pesa l’aspetto della partecipazione economica e delle opportunità. Come invertire la rotta per evitare, come ha detto il presidente Mattarella, che le donne siano chiamate a scegliere tra vita privata e carriera?

«Io sono abbastanza ottimista. Le differenze salariali e pensionistiche, così come la mancata progressione di carriera, derivano moltissimo dalla maternità. Addirittura l’essere in coppia è penalizzante per le donne. Il punto è agire sulla conciliazione. I primi effetti sull’occupazione femminile già ci sono, e questo è un aspetto fondamentale. Tra gli interventi messi in campo, ricordo la decontribuzione per le madri con due figli, i fondi per favorire la gratuità degli asili nido o l'aumento dei rimborsi per i congedi parentali: si tratta di misure strutturali - e non politiche di bonus - che producono effetti sul lungo periodo».

E sul welfare aziendale?

«Questo è cresciuto in maniera notevolissima. Oltre ai fringe benefit per i genitori, penso alla certificazione di genere, inserita tra gli obiettivi del Pnrr. Dovevamo certificare 800 aziende entro il 2026, ma siamo arrivati a quasi 7000. Il che vuol dire che c’è una risposta da parte del mondo delle aziende».

Presto arriverà anche un Testo unico sulla violenza contro le donne. C’è già una data?

«Questa è un'idea nata dalla commissione d’inchiesta sul femminicidio. Abbiamo fatto delle riunioni, con la ministra Casellati, ma ci siamo rese conto che si tratta di un lavoro non facilissimo, e che non avremmo fatto in tempo a presentarlo per questo 8 marzo. Sarà comunque un testo compilativo, non innovativo, che servirà per facilitare la conoscenza e l’accesso alle norme, non solo sul piano della repressione ma anche su quello dei diritti».

Qualcuno ha notato la scelta di Margherita Cassano, nella nota sul caso Diciotti, di firmarsi “la prima presidente della Corte di Cassazione”. L’utilizzo delle declinazioni femminili è un ulteriore modo per favorire la parità di genere?

«Io penso che il linguaggio segua il costume. Quando il linguaggio si afferma vuol dire che quel concetto è passato, non si può intervenire dall’alto forzando l’uso linguistico».

Il corteo di “Non una di meno” l’ha accusata di transfobia. Come risponde?

«Non è sintomo di transfobia dire che il femminismo parte dall’avere un corpo sessuato di donna. Non è un caso che le transfemministe arrivino all’uso delle shwa o degli asterischi, ovvero all’eliminazione del femminile. Penso che questo rientri nelle nuove subdole forme di patriarcato. Mi piacerebbe, però, che ci fosse un confronto sereno tra le femministe della differenza e le transfemministe, non una rissa o un gioco all’insulto».

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