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Bruna Magi 14 gennaio 2025
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Fra le tante eccellenze italiane, si può citare (ironizzando) anche l’autolesionismo verso noi stessi. Pure quando dovremmo essere orgogliosi tendiamo a denigrarci, come fa il regista Roberto Andò, nel suo L'abbaglio (sugli schermi dal 16 gennaio), lo sbarco dei Mille secondo lui, riproponendo la coppia Ficarra&Picone già vincente con La stranezza. Il suo concetto di autolesionismo risale al maggio 1860, quando i Mille fecero l’impresa di liberare la Sicilia, e si riassume nella frase finale del terzo coprotagonista, il colonnello Vincenzo Giordano Orsini (Toni Servillo immutabile sorriso di pietra, dal quale non emerge mai quanto prevalga la sua noia nei confronti del pubblico).
Incaricato di depistare i borbonici dalla marcia vincente del generale Garibaldi (Tommaso Ragno) verso Palermo, Orsini riesce nell’impresa, ma alla fine, Andò ce lo fa ritrovare in una bisca clandestina, gli lascia l’onore dell’ultima parola, che sarà «Povera Italia!», nel senso che nulla è cambiato rispetto a prima. Insomma una conclusione autolesionista da “Gattopardo dei poveri”, ridateci il triangolo Tommasi di Lampedusa, LuchinoVisconti e Alain Delon.
Ficarra e Picone superano Luca Marinelli: "Interpretare Benito Mussolini?", dove si spingono
È vero, arrivava ogni tipo strano, al presidio garibaldino di arruolamento dei Mille (a distribuire le camicie rosse c’è un tenentino, interpretato da Leonardo Maltese (ex deprimente Giacomo Leopardi in tv) aspirano all’ingaggio ragazzini incredibilmente dotati di senso patriottico, e sfigati come Domenico-Ficarra, claudicante perché vittima del lavoro minorile, specializzato in fuochi d’artificio, che vorrebbe ritrovare la donna amata, e Rosario-Picone, fuggito dal Nord dove era emigrato millantando inesistenti ascendenti nobiliari, in realtà facendo il baro di professione, inseguito dai truffati. È bella e struggente la scena notturna dei barchini, che a Quarto (poi dei Mille) affollano il porto di Genova diretti alle due navi in attesa.
Ma con la sbarco a Marsala subito tutto diventa miserevole, Domenico e Rosario fuggono dal rombo delle cannonate borboniche, stremati dalla fame tentano invano di rubare un agnellino, approdano a un convento dove incontrano i favori della badessa appassionata del gioco. Di nuovo in fuga, sono intercettati da Orsini, si salvano dalla fucilazione come disertori perché in guerra fanno comodo anche i disgraziati... Nonostante tutto, «qui si fa l’Italia osi muore», disse il generale a Calatafimi. E non fu un abbaglio, perché avvilirci? Ha citato il motto di Garibaldi anche la premier, giorni fa: per agire bisogna credere, a partire dagli ideali.