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«Francesco mi aveva chiesto di presentare un ddl sulla salute mentale e di spingere per l’istituzione dello psicologo di base. Era un tema a cui teneva moltissimo, forse proprio perché lo viveva sulla propria pelle. La salute mentale è un territorio ancora troppo poco compreso, eppure, può essere questione di vita o di morte». La voce del senatore di Forza Italia Mario Occhiuto si incrina, ogni parola pesa come un colpo allo stomaco. Il dolore è ancora troppo vivo, la perdita insopportabile. Ma c’è una lezione da spiegare e condividere. Suo figlio Francesco, 30 anni, studente di psicologia, è morto dopo essere caduto dall’ottavo piano della casa di famiglia a Cosenza. «Era un ragazzo dolcissimo – racconta il padre, che è stato anche sindaco della città – Con gli altri sembrava riservato ma dentro di sé combatteva una battaglia silenziosa. Una sera, mentre era a letto, gli ho chiesto con leggerezza: “Ehi, così lavori? ”. E lui mi ha risposto con una frase che non dimenticherò mai: “Papà, non sai quanto io lavori per non impazzire”».
LA QUOTIDIANITÀ
Una lacrima e un sorriso: «Francesco aveva scelto di studiare psicologia. Voleva comprendere la mente, forse anche la sua. Il contatto umano era quello che cercava più di ogni altra cosa. Mi diceva che il tirocinio in clinica lo faceva sentire utile, che quello doveva essere il senso della sua vita: aiutare chi stava male». Ma il trentenne soffriva. «Non so bene quale fosse la sua malattia, ma sotto stress, soprattutto nei rapporti personali o di lavoro, a volte andava in crisi. Strutturava un pensiero ossessivo, che lo intrappolava. È successo almeno tre volte. L’ultima è stata fatale. Per lui. E per noi». Le tappe della sofferenza sono state tutte in salita: «La prima crisi fu a Parma, durante il tirocinio. Era legata alla fine di un amore, che forse lo aveva ferito più di quanto mostrasse. Si chiuse in sé stesso per un periodo, come se volesse proteggersi. Poi, lentamente, ricominciò a vivere. Si impegnò negli studi, nel lavoro, ma il suo sforzo più grande era quello che nessuno vedeva: controllare silenziosamente la sua malattia». Il ricordo di Francesco si fa vivido e struggente: «Un giorno mi disse: “Papà, alcuni mi giudicano forse un po’male perché sto sulle mie, ma nessuno ha intuito che il mio è malessere mentale”. Non credeva nei farmaci come soluzione per la mente, ma credeva nella psicologia, nel potere dell’ascolto».
GLI ULTIMI SORRISI
Pochi giorni prima del dramma aveva ottenuto l’abilitazione con il massimo dei voti dopo un contratto di ricerca all’università: «Era felice, impaziente di iniziare, di costruire qualcosa di suo – spiega Roberto Occhiuto – Io mi accorgevo però quando diventava più vulnerabile: veniva da me, si faceva abbracciare, voleva dormire nel mio letto a Roma». La fede, i viaggi a Lourdes per trovare la salvezza hanno accompagnato papà e figlio: «Negli ultimi due anni siamo stati sempre insieme. Io pregavo per lui, sono andato a Lourdes per chiedere aiuto e conforto. Poi l’ho convinto a tornare lì con me: è stato un viaggio intimo, indimenticabile, che sembrava restituirci fiducia». Qualcosa però nella loro quotidianità si è spezzato. «Lo specialista gli aveva prescritto una riduzione graduale dei farmaci in alcuni mesi. Ma lui ha accelerato il decorso. I medici dicono che è stato questo a provocare una crisi di rimbalzo, a far emergere quel pensiero negativo che lo ha intrappolato. Non so se sia davvero così. Non so se io abbia commesso qualche errore. So solo che credevo in lui. Avevo una fiducia assoluta in Francesco e nelle sue capacità, nella sua forza. Ma in quel momento non era più lui. E anche la mamma, con tutto l’amore del mondo, non l’ha potuto salvare».
L’APPELLO
Poi, nelle parole di papà Mario, il desiderio di una società più attenta ai fragili: «Francesco mi rimproverava amorevolmente, dicendomi che a volte esprimevo giudizi superficiali sugli altri, senza essere veramente consapevole delle loro storie e delle loro fragilità». A questo oggi si aggiunge il dolore di un padre che si interroga: «Come può una persona così brillante, così generosa, così piena di vita e di sogni essere sopraffatta da un pensiero ossessivo? La salute mentale è ancora un territorio poco compreso, spesso trattato con superficialità, quasi con imbarazzo. Eppure, può essere questione di vita o di morte. Francesco ne era consapevole, e forse proprio per questo aveva scelto di diventare uno psicologo. Per aiutare gli altri, per cercare risposte».
LE FAMIGLIE
Infine, il senatore affida alle sue parole un messaggio per i genitori che stanno vivendo lo stesso dramma: «Pensavo che il supporto familiare fosse la cosa più importante. E lo è. Così dicono tutti gli specialisti, e così credevo anche io. Ma ho imparato, nel modo più doloroso, che non sempre basta. L’amore di una famiglia può essere un rifugio, un punto fermo, ma chi combatte contro una sofferenza invisibile ha bisogno di molto di più. Per esempio di un sistema di cura che non sia frammentato, di un sostegno che non arrivi solo nei momenti di emergenza, di un’attenzione costante». E ancora. «Oggi la salute mentale è trattata come qualcosa di marginale, di secondario, come se fosse meno urgente di una malattia fisica. Ma non è più così. Non possiamo più permetterci di relegarla in secondo piano, di affrontarla solo quando è troppo tardi. Ai genitori che vivono situazioni simili alla mia posso solo dire: fate tutto ciò che potete, ma non fatelo da soli. Non bastano solo il vostro amore, la vostra vicinanza, la vostra speranza. Cercate aiuto, lottate perché i vostri figli abbiano un sostegno concreto, perché la loro sofferenza venga presa sul serio. Perché quando ci si trova davanti al baratro, l’amore di chi sta accanto può non essere sufficiente a impedire la caduta».