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Esultano i palestinesi sfollati della Striscia di Gaza nei campi profughi, il 90 per cento dei circa 2.3 milioni di popolazione ufficiale. Manifestazioni di giubilo scandite dai clacson e dagli spari. Applausi, pianti, balli nelle strade scavate e sgretolate dalle bombe. Un flusso improvviso di speranza all’annuncio dell’accordo raggiunto a Doha. Abed Radwan, padre di tre figli, si prostra e ringrazia Allah. Scappato dalla sua città, Beit Lahiya un anno fa, Abed ha trovato riparo a Gaza City, e come tutti spera un giorno di poter ricostruire la sua casa. Parla al telefono con un giornalista della Associated Press e la sua voce è sopraffatta dal clamore della felicità e delle celebrazioni attorno a lui. «Qui la gente piange, non credono che tutto questo sia vero», dice. È il momento del sollievo e della speranza, anche se tutti sanno benissimo che la pace duratura è ancora lontana. Ma dopo 15 mesi di bombardamenti durissimi e di guerriglia per le strade, di marce da un quartiere all’altro, da una città all’altra, inseguendo gli avvertimenti dei generali israeliani per non trovarsi nel posto sbagliato, accanto a un nido di mitragliatrici o una postazione di mortai di Hamas, l’idea che addirittura per 42 giorni si potrà vivere senza la minaccia costante dei raid, dei missili e dei droni, è quasi l’inizio di una nuova vita.
IL SUCCESSO
A Tel Aviv, l’esultanza è più contenuta, c’è una consapevolezza lucida della difficoltà del percorso che ancora attende la firma di una pace effettiva, e c’è l’attesa di riabbracciare ostaggi che saranno provati da una prigionia in condizioni terribili lunga quasi 470 giorni. Alla festa, a Gaza, si unisce l’esultanza per quella che i comandanti di Hamas vogliono o devono presentare come un successo. Su X, il sito di notizie Quds pubblica un video che mostra uomini armati a volto coperto che sfilano nei quartieri sfregiati della Striscia sparando colpi a ripetizione, sventolando e quasi brandendo la bandiera palestinese, sempre urlando «Allah Akhbar», Dio è grande. La tregua viene presentata nel tam tam della Striscia come una umiliazione per Israele, che deve interrompere le operazioni militari e rilasciare militanti di Hamas e altre organizzazioni palestinesi come la Jihad islamica e l’Autorità nazionale palestinese, anche figure di primo piano della lotta armata, dell’Intifada e del terrorismo contro lo Stato ebraico. La festa prelude a quella che presto circonderà i detenuti al loro arrivo, con un tocco di trionfalismo pur nella distruzione e tra le macerie, festa alla quale non corrisponde un analogo senso di vittoria a Tel Aviv e Gerusalemme. A Khan Younis, nel sud della Striscia, la folla scende nei vicoli, nelle piazze, applaude, spara, urla. «Le persone sono felici dopo le sofferenze che hanno visto per più di un anno», dice sempre alla Ap, al telefono, Ashraf Sahwiel. «Speriamo che adesso l’accordo venga davvero attuato». C’è ancora diffidenza, paura, accanto al sollievo e alla gioia per la bella notizia. Sahwiel, sfollato anche lui, vive in una tenda a Deir al-Balah insieme a cinque membri della sua famiglia. Racconta che tutti, a Gaza, hanno seguito con crescente emozione gli sviluppi dei colloqui e i segnali che davano per quasi raggiunta l’intesa. Insieme hanno pregato e gioito, «anche i bambini che hanno speranza e sono felici di tornare nelle loro case». Nei tunnel, probabilmente, anche gli ostaggi a Gaza avranno esultato, nonostante i mesi di brutalità e violenze subite. Non tutti però. Resteranno nella Striscia decine di loro, non si sa quanti vivi e quanti morti. Un orrore che nel sottosuolo prosegue, mentre in superficie i civili palestinesi, che non hanno la possibilità di proteggersi nella cosiddetta “metropolitana” di Gaza, finalmente respirano e sperano anche nelle prossime fasi della trattativa. Nella ricostruzione. È gioia tra i circa 500 rifugiati della parrocchia della Sacra Famiglia, l’unica cattolica della Striscia. Gabriel Romanelli, il parroco, al Sir dice che «qui a Gaza siamo tutti molto contenti. Ora la gente comincia a sperare di ritornare a casa, per chi ancora ce l’ha, di capire cosa sia rimasto e come ricostruire e ripartire. Per tutti significa tornare a vivere senza l’incubo continuo di aerei, bombe, combattimenti e violenza».
LA TENUTA
E, poi, tutti sperano nella tenuta della tregua, «anche se sappiamo che sarà un percorso molto lungo e complicato. All’annuncio dell’accordo abbiamo elevato la nostra preghiera di pace e celebreremo una messa di ringraziamento per il cessate il fuoco, chiedendo pace per tutti gli operatori impegnati sul campo a garantire sollievo alla popolazione. Ringraziamo tutti quei milioni di persone che nel mondo si impegnano per essere chiamati figli di Dio». Ma quanto durerà questo momento? Ci saranno scene di accoglienza, le famiglie potranno riabbracciare i figli e i genitori detenuti in Israele. Anche di esultanza dei militanti, il segno del comando di quanti sono armati e scaricano i mitra al cielo per sfogare un odio che non diminuisce. Che attende solo nuove occasioni per esprimersi. In questa infinita guerra mediorientale.