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Le idee di Trump per Gaza hanno messo a dura prova gli equilibri del Medio Oriente. Il governo israeliano ha accolto con favore il piano del tycoon per mandare via più di due milioni e mezzo di abitanti dalla Striscia di Gaza, bonificarla, prenderla e renderla una “riviera”. Ma le mosse del presidente Usa rischiano di incidere profondamente non solo su Gaza, ma anche sui Paesi coinvolti nel suo progetto. Due in particolare, Egitto e Giordania. Stati che subirebbero direttamente gli effetti delle idee di Trump e che cercano strade alternative. Ieri, alla Casa Bianca, il re di Giordania Abdallah II ha discusso con Trump del futuro di Gaza, nella speranza di ammorbidire le posizioni del presidente. «Credo veramente che, con tutte le sfide che abbiamo in Medio Oriente, finalmente vedo qualcuno che può portarci al traguardo e portare stabilità, pace e prosperità a tutti noi nella regione» ha detto il re in un evidente sforzo di diplomazia. Ha annunciato anche che Amman è pronta a curare nei propri ospedali duemila bambini di Gaza che hanno il cancro o bisogno urgentemente di terapie. Ma il leader giordano ha ribadito anche la sua «ferma opposizione allo sfollamento dei palestinesi da Gaza e dalla Cisgiordania», promettendo al presidente Usa di fare in modo che il mondo arabo si presenti con una proposta unitaria anche per la Striscia. «Credo che sia nostra responsabilità collettiva in Medio Oriente continuare a lavorare con lei, sostenendola nel raggiungimento di questi obiettivi di prosperità» ha detto Abdallah II a The Donald. E la controfferta potrebbe arrivare anche dal prossimo summit che si terrà al Cairo a fine febbraio e che vedrà riunite le nazioni arabe per discutere gli sviluppi della questione palestinese. Ed è proprio l’Egitto a poter diventare il protagonista di questa nuova complessa fase di negoziati sul destino della Striscia. Il re di Giordania ieri ha annunciato che il governo del Cairo presenterà un suo piano per lavorare con gli Stati Uniti nella gestione dell’exclave palestinese. Ma in Egitto, il presidente Abdel Fattah al-Sisi non sembra affatto convinto delle posizioni del tycoon. Al telefono con la premier danese, Mette Frederiksen, il leader egiziano ha confermato che la ricostruzione e la riqualificazione di Gaza sono due obiettivi indispensabili, ma «senza sfollare la sua popolazione e in modo che ne siano garantiti i diritti e la possibilità di vivere sulla propria terra». Trump si è detto convinto che al «99%» si troverà un accordo con l'Egitto riguardo al piano per Gaza”, smorzando anche i toni sulla possibilità di tagliare gli aiuti militari al Cairo e Amman qualora non diano l’ok al progetto. Ma l’impressione in questo momento è che, mentre Abdallah II è volato a Washington con l’idea di mediare con la Casa Bianca, al Sisi stia giocando un’altra partita: quella di proporre un’alternativa. Da diverse settimane, l’Egitto ha attivato tutti i canali diplomatici con gli Stati Uniti per presentare piani diversi sul futuro della Striscia. Secondo le fonti di Al Arabiya, dal Cairo sarebbero già state inviate due idee che non prevedono l’allontanamento della popolazione palestinese. E a confermare la tensione che si respira tra Egitto e Stati Uniti, ieri sera è trapelata la notizia secondo cui al Sisi ha annullato la sua visita a Washington prevista per il 18 febbraio.
I RISCHI
Le frizioni tra i due governi non sono poche. Trump ha da subito messo in chiaro che Egitto e Giordania sarebbero stati i Paesi che avrebbero accolto la popolazione sfollata da Gaza. Ma sia Amman che il Cairo conoscono i rischi derivanti da questo progetto. Accogliere milioni di profughi è una sfida da affrontare estremamente difficile. Svuotare la Striscia significherebbe inoltre stravolgere la regione e cedere su uno dei punti-chiave della politica mediorientale, cioè la soluzione dei due Stati. Tutto il mondo arabo è contrario alla proposta del tycoon. E in attesa di una nuova missione del suo inviato, Steve Witkoff, The Donald rischia di vedere allineati non solo i Paesi arabi, ma anche l’Iran e la Turchia.