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Giannini definisce “sporca” la guerra di Putin: così la narrazione dominante discrimina i conflitti

1 settimana fa 2
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In maniera fumettistica, manicomiale e caricaturale, sul rotocalco turbomondialista e voce del padronato cosmopolitico La Repubblica, si parla espressamente in questi giorni della sporca guerra di Putin. Questa è la locuzione impiegata dal rotocalco turbomondialista. A parlarne è segnatamente Giannini, in un surreale articolo che è tutto un programma e che merita davvero di essere letto come esempio della più radicale e quasi lirica propaganda liberale atlantista. Non sfugga intanto l’aggettivo sporco applicato così disinvoltamente al conflitto in relazione alla Russia di Putin. Ammettere l’esistenza di guerre sporche comporta eo ipso il riconoscimento, in pari tempo, dell’esistenza di guerre pulite. Sviluppando fino in fondo queste sgangherate premesse, che segnano l’ennesimo sacrificium intellectus del discorso dominante, se ne inferisce che per Repubblica e per Giannini le guerre dell’Occidente, anzi dell’Uccidente, sono per definizione guerre pulite, umanitarie, democratiche, benefiche e magari anche desiderabili. Curiosamente, in effetti, non si fa mai cenno, nemmeno per errore, alle sporche guerre dell’occidente liberal-atlantista, che per definizione, come ricordavo poc’anzi, non sono mai sporche, ma sono invece sempre linde, candide, immacolate e, dulcis in fundo, portatrici di diritti, di pace e di democrazia. Erano forse amabili e umanitari, ad esempio, le bombe occidentali su Belgrado nel 1999?

Mi punge vaghezza di far notare alla sempre equilibrata e mai faziosa redazione del rotocalco turbomondialista La Repubblica che anche la cosiddetta guerra sporca di Putin, come viene da loro stessi appellata, in realtà non è altro se non la guerra sporca dell’Uccidente americano centrico contro la Russia di Putin. colpevole di non genuflettersi a quella americanizzazione coatta del pianeta che viene pudicamente e ipocritamente appellata globalizzazione e che, come ho mostrato nel mio libro Globalizzazione, meglio sarebbe definire anglobalizzazione. Ed è il resto una costante del discorso ideologico dominante, la celebrazione delle proprie guerre come intrinsecamente buone e umanitarie, e la parallela demonizzazione della resistenza altrui come sporca guerra e come terrorismo.

Sorprendente, semmai, è che ancora qualcuno, troppi in verità, si beva questa narrazione demenziale buona solo a giustificare i rapporti di forza dominanti. A questo riguardo non sfugga che, sempre sul rotocalco turbomondialista La Repubblica, nei giorni scorsi usciva un articolo nel quale ci si domandava come fosse riuscita la propaganda, specie nella sua variante hollywoodiana, a giustificare il mito del cowboy e la sua di fatto oppressione genocidaria ai danni degli indiani, dei pelle rossa, degli indigeni. Ebbene, non è passato nemmeno per l’anticamera del cervello, probabilmente, ai giornalisti di Repubblica, che è proprio questo il dispositivo che ancora oggi, in forma non meno manipolatoria e propagandistica, fa sì che l’Occidente celebri le proprie guerre presentandole come umanitarie e che ad esempio, e quel che sta accadendo a Gaza, giustifichi un vero e proprio massacro di civili come se fosse un’opera di civiltà. Un’opera benemerita di lotta al terrorismo, la giusta rivendicazione del diritto di Israele di difendersi.

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