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Gli eroi di Baltimora: così gli operai hanno bloccato il traffico evitando una strage

10 mesi fa 11
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BALTIMORA. Wes Moore, governatore del Maryland, ha già individuato i «nostri eroi». Sono i poliziotti che sono balzati in mezzo alla carreggiata e hanno bloccato le auto che stavano per salire le rampe del Francis Scott Key Bridge. Erano da poco passate le 1 di notte di martedì nella baia di Baltimora dominata da Fort Henry, cannoneggiato nel 1814 dalle truppe britanniche. Da qui, Mr Francis Scott, osservò la scena, e la tradusse in poesia, «Defense di Fort McHenry». In seguito, divenne «The Star-Spangled Banner» che dal 1931 è l’inno statunitense.

Il container Dali, bandiera di Singapore, è di proprietà della Grace Ocean Pte Ltd. Il gestore è il Synergy Marine Group che ha affittato dalla danese Maersk.

La nave aveva mollato gli ormeggi al molo di Dundalk diretta a Singapore. Le imbarcazioni impiegano circa 30 minuti per manovrare, prendere la direzione e infilarsi sotto questo ponte inaugurato nel 1977, lungo 2,5 chilometri, quattro corsie, fra i luoghi più iconici americani e snodo chiave della viabilità del Nord Est degli States.

Alle 1.24 qualcosa però ha cominciato ad andare storto, le luci hanno iniziato ad andare a intermittenza, una perdita di corrente; passano 60 secondi e nel video rilanciato da tutte le tv americana, si vede un fumo nero alzarsi e mescolarsi con il buio della notte. Sullo sfondo le luci del porticciolo di Baltimora. La nave finisce fuori controllo e alle 1,28 sbatte contro uno dei piloni che regge lo Scott Key Bridge. In un attimo, la struttura in acciaio si frantuma, e crolla nelle acque del fiume Patapsco. Non resta nulla, come un castello di carte abbattuto dal soffio di un bambino. Sul ponte al momento ci sono otto persone. I primi resoconti riferiscono anche di macchine. Si scoprirà poi che sono quelle con cui gli otto operai sono arrivati per lavorare al manto stradale e riparare le buche.

La Dali aveva dato il “Mayday”. Un segnale di soccorso che ha consentito tempestivamente di lanciare l’allarme, chiudere al traffico civile e commerciale il ponte ed evitare una strage peggiore. È stato un centralinista a chiedere agli agenti di bloccare il flusso di auto, un poliziotto ha impiegato circa due minuti per intervenire. Quindi aveva detto che sarebbe andato sul ponte per avvertire gli operai che la nave era fuori controllo e che dovevano andarsene. Ma mentre stava per avviarsi, un’altra chiamata dal centralinista: il ponte si era sbriciolato portando con sé gli otto uomini.

Le ricerche sono scattate subito, due persone sono state recuperate, e una è morta poi all’ospedale di Baltimora. Ieri sera gli altri sei erano ancora classificati come dispersi. Ma, spiegano le autorità, più passa il tempo più si assottigliano le possibilità di ritrovare qualcuno. Le acque del fiume sono gelide e forti. Elicotteri, mezzi subacquei, motoscafi di Fbi, della Guardia Costiera sono impegnati senza sosta nelle ricerche. È intervenuto anche “il genio” dell’Esercito, prioritario è liberare il braccio di fiume che collega Baltimora all’Atlantico dai tiranti di acciaio e dai resti del ponte che rendono impraticabile la navigazione.

Al mattino lo scenario è spettrale. Lungo le sponde del Patapsco a Dundalk ci sono piccoli capannelli di curiosi che salgono sugli argini del fiume per guardare. Ci sono spuntoni e la nave incagliata con la prua impigliata fra cemento e metalli. Ma il grosso del ponte è adagiato sul fondale, precipitato per sessanta metri e poi inghiottito dalle acque. Fino a quando la zona non sarà ripulita sarà praticamente impossibile per mercantili e altre navi utilizzare il porto di Baltimora, uno dei più grandi e capaci dell’intera costa orientale, porta di ingresso di carbone, mezzi pesanti e spedizioni oltreatlantiche. Ieri 40 imbarcazioni fra rimorchiatori, mercantili e navi da diporto erano bloccate, una trentina dovevano arrivare e sono state dirottate verso la Virginia.

«È un problema gigantesco, i magazzini a Dundalk sono pieni, ci sono i container con le merci», spiega un dipendente del porto. Ci lavorano oltre 15mila persone.

Fra chi fissa lo sguardo sull’orizzonte cambiato nel giro di una notte, c’è anche Olanja, fa la commessa dall’altra parte a Orchard Beach. Ieri doveva andare a lavorare, come ogni mattina avrebbe imboccato lo Scott Key Bridge lungo la Interstate 695 alle 7, in piena ora di punta. «Perderò l’impiego – dice a un nugolo di reporter che filmano l’acqua e il cielo e gli spuntoni che emergono dal fiume – ma come faccio ad andare dall’altra parte?».

È un viaggio della speranza, quasi un'ora contro i dieci minuti grazie allo Scott Bridge. L’abbiamo fatto a bordo di un Uber. I primi cinque autisti che abbiamo contattato hanno declinato l’offerta di accompagnarci. Una sesta ci ha telefonato scusandosi: «Siamo rovinati, quel ponte era fondamentale, ora dovrò usare i due tunnel che scorrono più a nord». Sono piccoli, bassi, senza corsie di emergenza. E intasati di camion e auto. Per chiunque significa mettere in conto ogni giorno il pagamento di un pedaggio, 13 dollari.

Nella zona di Orchad Beach, la rampa è presidiata dalla polizia. Ci sono una dozzina di macchine a sirene spiegate. Si vede l’imbocco e poi è solo l’immaginazione che ci guida. I media sono tenuti a distanza.

Arriva nel frattempo Pete Buttigieg, segretario ai Trasporti. Arriva nella zona del disastro quando dalla Casa Bianca il presidente Joe Biden sceglie la Roosevelt Room per parlare alla Nazione. Non ci sono indicazioni che quanto accaduto «sia un atto volontario», dice per sgombrare subito il campo al timore di attentati, o sabotaggio. È una linea che già nelle prime ore aveva preso corpo e che si rafforza man mano che emergono i dettagli dello schianto. Quindi il presidente promette: «Riapriremo il porto il prima possibile e ricostruiremo il ponte». E dice che userà «soldi federali». Per questo chiede la massima collaborazione al Congresso. Difficile gli verrà negata. Quando in Minnesota nel 2007 un ponte si squagliò nel Mississippi, Bush ottenne il via libera senza alcun voto contrario alla ricostruzione. Il clima politico è cambiato e le infrastrutture un terreno di scontro politico in un anno elettorale, ma ad ora nessuno si è sfilato.

«Non possono impiegare dieci anni per rifarlo», è il grido che un imprenditore lancia da una radio locale. Nel 1977 costò 141 milioni, 735 l’equivalente di oggi. Un’altra sfida per Biden.

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