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Gli obblighi costituzionali di un ministro

8 ore fa 1
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Tra gli articoli che la Costituzione dedica al Parlamento – poco prima di quello che prevede, tra l’altro, che ogni disegno di legge debba essere prima esaminato e poi approvato da una Commissione e poi dall’Assemblea in ognuna delle Camere «articolo per articolo», è in bella evidenza quello che stabilisce che i membri del governo hanno diritto, e se richiesti obbligo, di assistere alle sedute delle Camere. Difficile pensare che la norma non copra per gli stessi ministri l’obbligo, quanto meno politico, di riferire su questioni di propria competenza, quando ne siano richiesti dalle opposizioni. Entrambi gli articoli, rispettivamente 72 e 64, hanno subito gradualmente un duplice destino, nel tempo, comune a buona parte delle disposizioni sul tema: continuano a fare, intatti, bella mostra di sé nel testo della Costituzione che la politica si fa vanto di rispettare ogni volta che conviene, mentre vengono dimenticati, ignorati, disapplicati, sfregiati nella politica praticata del giorno per giorno. E se l’invito a riferire si fa troppo insistente, si fa per dire – come successe qualche anno fa per la non banale vicenda dei rapporti, politici, economici e quant’altro, tra un ministro capo partito e la non proprio irrilevante Russia di Putin – è sufficiente sostituire l’audizione con uno qualsiasi dei mezzi che la moderna comunicazione offre a piacere, specificando sbrigativamente di non avere alcunché da dire al riguardo.

Oggi lo schema si ripropone per il tragicomico ritardo di ogni treno ogni giorno, e il ministro sollecitato a riferire ad una Camera a propria scelta - casualmente sempre il medesimo -, ha l’occasione per smentire o confermare la condotta di allora. Riferire, ovviamente e responsabilmente, non nei pochi attimi di un question time, ma in un dibattito aperto a tutti e non istantaneo. Si accettano scommesse. Si ripropone, oramai per tutte o quasi le funzioni delle Camere, lo schema che deriva dal subentro del governo agli organi del Parlamento nella gestione delle funzioni delle Camere: che si tratti del procedimento legislativo – nel quale per ora l’unico «intruso» teoricamente rimasto è il capo dello Stato con il suo potere di promulgazione –, delle funzioni di controllo sull’esecutivo, e quant’altro. Con una eccezione, più apparente che reale, relativa alle inchieste parlamentari: funzione in grande voga, grazie alla straordinaria efficacia dei poteri di cui la maggioranza dispone, utili per regolare qualche conto con le opposizioni. Viene in mente, in una con i brividi che provoca, il caso della Commissione di inchiesta sulla pandemia, potenzialmente la commissione della vendetta. Subentro nella gestione, di cui sopra, che inizia, a scanso di equivoci, fin dalla costituzione degli organi dei due rami del Parlamento: prevista in origine, in quanto atto inaugurale di ogni nuova legislatura, prima che si conosca quale combinazione partitica formerà la maggioranza, allo scopo di svincolare e separare da questa la formazione degli organi di governo (minuscolo) delle due Camere dalla maggioranza di Governo. E di favorirne quella terzietà che è nello spirito della Costituzione, e che la qualità delle relazioni politiche degli ultimi decenni rende improba.

La maggioranza formalmente nasceva e si conosceva in un secondo tempo, con le decisioni del capo dello Stato e la collegata fiducia parlamentare. Così succedeva nella cosiddetta «prima Repubblica»: quando i presidenti delle Camere erano spesso esponenti di quelle che sarebbero state le opposizioni, dopo la rituale e non formale concertazione indistinta tra tutte le componenti dell’Assemblea, appena costituite in gruppi parlamentari. Esattamente l’opposto di quanto accaduto nelle legislature dal 1994 in qua: con un particolare accento provocatorio in una della due Camere per quanto riguarda quella in corso.

Montesquieu.tn@gmail. com

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