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Gli ultimi dilemmi di Meloni, le chiamate a Von der Leyen. “Troppe aperture a sinistra”

7 mesi fa 7
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ROMA - OXFORD. Su una cosa non c’è alcun dubbio: il secondo mandato di Ursula von der Leyen spaccherà la maggioranza italiana. Al di là di cosa deciderà Giorgia Meloni, la Lega voterà no, Forza Italia voterà sì in Aula, al Parlamento di Strasburgo. Fratelli d’Italia invece lo comunicherà questa mattina, ma da tutti gli indizi raccolti, a meno che non ci sia un gioco di mascheramenti tattici, l’incertezza è ancora massima.

La premier ha atteso fino all’ultimo per sciogliere la riserva, un po’ perché non le dispiace mantenere un effetto sorpresa, ma soprattutto perché si ritrova in un angolo dal quale è difficile uscire. Una situazione politicamente complessa che lei stessa ha spiegato a Von der Leyen nel corso di due telefonate negli ultimi giorni: «Devo essere coerente con la frase che ho ripetuto da mesi: “Mai con la sinistra”». Non è l’annuncio di un voto negativo, ma un avviso in vista del discorso che la presidente della Commissione pronuncerà questa mattina a Strasburgo. I luogotenenti di Meloni al Parlamento europeo, Carlo Fidanza e Nicola Procaccini, osserveranno con attenzione non solo il testo (che sarà consegnato ai deputati in anticipo), ma anche le reazioni che arriveranno dai banchi della sinistra, in particolare del gruppo dei Verdi. Davanti a eventuali scene di giubilo plateale dei progressisti, Fratelli d’Italia non potrebbe accodarsi al plebiscito per Von der Leyen.

L’accordo in ogni caso non è chiuso. Ieri sera, prima di partire per l’Inghilterra, dove oggi parteciperà al summit della Comunità politica europea, Meloni non era soddisfatta delle offerte fatte all’Italia nella composizione della futura Commissione. Si tratta di un percorso ancora lungo, se oggi Von der Leyen venisse eletta, ci sarebbero davanti almeno altre due settimane prima di definire il portafoglio dei prossimi commissari.

L’Italia continua a chiedere una vicepresidenza esecutiva che Ursula, però, non contempla. Raffaele Fitto resta al momento l’unico vero nome indicato da Palazzo Chigi. La casella ideale, per biografia e curriculum del candidato, sarebbe quella delle Politiche di coesione, dalla quale si può anche seguire il delicato dossier dei fondi europei, anche se la delega al Pnrr potrebbe finire nel portafoglio del Bilancio, che quindi diventerebbe appetibile per l’Italia.

Non sbilanciarsi fino all’ultimo momento sulle indicazioni da dare ai propri deputati a Meloni serve anche per evitare di alimentare la campagna anti-Ursula di Matteo Salvini, sottraendo più giorni possibili ai potenziali attacchi suoi e dei Patrioti, il nuovo gruppo dei sovranisti che ha riunito il segretario della Lega con amici e alleati di sempre come Viktor Orban e Marine Le Pen. Anche per questo, da quanto risulta da fonti leghiste, Meloni ha voluto incontrare Salvini di persona. Per avere rassicurazioni che non approfitterà di un ipotetico voto favorevole di FdI a Von der Leyen. La premier e il vicepremier si sono visti a Palazzo Chigi, martedì sera, senza l’altro vicepremier, Antonio Tajani, presidente di Forza Italia, impegnato con il G7 del commercio estero a Reggio Calabria.

Meloni ha sondato Salvini, pregandolo di tenere a bada i suoi uomini, di «non alzare troppo i toni» e di non minare la compattezza del governo. Niente trucchetti, spera la leader, consapevole di quanto il voto su Ursula possa avere un costo politico a destra, spingendola di fatto lontana dal fronte estremo degli ultranazionalisti in cui lei – presidente dei Conservatori europei - è sempre stata di casa. Fino alle otto di ieri sera il patto tra Meloni e Salvini è sembrato reggere. Anche se la reazione, prevedibile, della Lega alla notizia, attesa, della condanna di Von der Leyen alla Corte europea per mancata trasparenza sui vaccini («un motivo in più per votare no») ha fatto sobbalzare più di qualcuno vicino alla premier, secondo la quale, invece, la vicenda giudiziaria della presidente della Commissione non cambia di una virgola i termini della questione. La sfiducia del partito della premier sul fatto che la Lega manterrà la parola su questo punto è pressoché unanime, la convinzione generalizzata è che sarà impossibile frenare Salvini e che comunque farà di tutto per far emergere la contraddizione di Meloni. Detto questo, per tutta la giornata la linea diffusa dalla segreteria del Carroccio è stata: «Se Fratelli d’Italia voterà sì saremo comprensivi». Ovvero niente slealtà. Il capogruppo al Senato Massimiliano Romeo lo dice esplicitamente: «Noi stiamo lavorando per costruire un’alternativa, però non è che puntiamo il dito nei confronti di Meloni». Romeo, ospite di Start, su Skytg24, sembra pronto a giustificare un sì di FdI: «La premier deve lasciare aperta una strada con l’istituzione europea a prescindere dalla maggioranza che governa. Ci sarà comprensione nei confronti del voto di Fratelli d’Italia». Un nuovo atteggiamento che però sembra durare poco. Il tempo, per i meloniani, di leggere in agenzia una frase di Andrea Crippa, vicesegretario leghista con delega alle bordate, che commentando la condanna di Von der Leyen si domanda: «Ora a Bruxelles c’è da chiedersi una sola cosa: chi avrà ora il coraggio di votare la Von der leyen?». Una ruvidezza che colpisce dove fa più male.

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