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Guerra dei chip, gli Usa riaprono lo scontro: «Alt all?export». Il no di Cina e Ue

15 ore fa 1
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A pochi giorni dalla fine del suo mandato, il presidente uscente Joe Biden ha firmato un provvedimento che va dritto nella direzione che potrebbe essere presa nei prossimi anni dall’America di Donald Trump. E dà il via alla seconda fase della guerra dei chip. Una mossa che scatena le ieri di Cina e Russia, ma spaventa anche l’Europa.

Washington ha imposto nuove restrizioni alle esportazioni di chip per l’intelligenza artificiale che colpiscono principalmente Pechino e Mosca. La Cina, per esempio, non potrà passare per altri Paesi per acquistare microprocessori prodotti da aziende Usa. Queste dovranno chiedere al governo l’approvazione per esportare informazioni sulla produzione dei loro chip e dei loro modelli IA oppure per aprire sedi all’estero. Indicati anche i Paesi con un numero massimo di chip che possono essere esportati (Gran Bretagna, Francia e Germania, per esempio) e 120 nazioni che subiranno restrizioni. Tra questi, alleati di Washington come Arabia Saudita, Israele o Singapore.

Contrari i colossi tech: ieri sul blog di Nvidia Ned Finkle, capo delle relazioni istituzionali, ha criticato la scelta dicendo che la crescita internazionale del settore «è ora in pericolo». Nvidia teme per la sua penetrazione in Paesi come Arabia ed Emirati Arabi. Di recente ha detto di poter guadagnare 10 miliardi di dollari vendendo la propria tecnologia agli Stati che vogliono trasformare l’intelligenza artificiale in un asset nazionale.

MERCATI

Turbolenze a Wall Street, in particolare per Nvidia che già soffriva: ieri il titolo ha perso fino al 3%. Minori restrizioni per Google, Microsoft e Amazon, che si occupano di data center: dovranno costruire una percentuale precisa di centri dati in Stati alleati di primo livello, più sicuri, e meno in area ritenute poco fedeli a Washington.

La parola ora a Trump. Nonostante sia contrario all’intervento dello Stato nell’economia, sulla questione cinese condivide lo stesso approccio dell’amministrazione Biden. Ci sono 120 giorni prima che le nuove regole entrino in vigore e il neopresidente ha il tempo di prendere la sua decisione.

La legge di Biden non piace a Pechino: è una «flagrante violazione» delle regole sul commercio internazionale. Ma è preoccupata anche l’Europa, che teme di essere schiacciata come vittima collaterale nel braccio di ferro tra Usa e Cina.

Sono fortissimi i dubbi sulle restrizioni all’acquisto di chip destinate soltanto ad alcuni Paesi, compresi pezzi dell’Europa orientale, per impedire a Pechino di bypassare i divieti e ricevere da questi Paesi i semiconduttori per l’IA. Affidata alla vicepresidente della Commissione, Henna Virkkunen, e al titolare del Commercio e della sicurezza economica, Maros Sefcovic, la reazione «preoccupata» dell’esecutivo Ue non s’è fatta attendere. E non sono stati usati i guanti di velluto con la Casa Bianca. Accusata non troppo velatamente di voltare le spalle a uno storico alleato: «Collaboriamo strettamente, in particolare nel campo della sicurezza, e rappresentiamo un'opportunità economica per gli Usa, non un rischio per la sicurezza».

È su questi tasti che Bruxelles è determinata a insistere, in un dialogo «costruttivo che siamo pronti ad avviare con la prossima amministrazione Usa», fiduciosa di «poter trovare una soluzione per mantenere una catena di fornitura transatlantica sicura nel campo della tecnologia IA e dei super computer, a beneficio delle nostre aziende e dei cittadini su entrambe le sponde dell'Atlantico».

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