ARTICLE AD BOX
È la telefonata più attesa da mesi. E potrebbe essere l’ultima occasione. O, almeno, l’ultima con una posta realistica: una tregua breve, sia pur fragile, tra Russia e Ucraina. Oggi alle quattro del pomeriggio ora italiana, Donald Trump parlerà con Vladimir Putin.
Attorno a quella linea diretta si stringe un nodo che tiene dentro ambizioni imperiali, timori occidentali, strategie americane e una quantità di pressione diplomatica mai così alta dall’inizio del conflitto. Trump lo ha detto: la tregua ci potrà essere solo se parlerà lui con lo “zar”. E Putin, finora, ha fatto sapere di essere disponibile, ma alle sue condizioni. Il problema è che quelle condizioni, presentate nei giorni scorsi a Istanbul dai delegati russi, non lasciano spazio a veri negoziati. Sono ultimatum mascherati: il riconoscimento formale della Crimea e, di fatto, di altre quattro regioni, lo status neutrale del Paese, il ritiro completo delle forze di Kiev dalla prima linea, nessuna truppa straniera, e la rinuncia alle richieste di risarcimento. Una capitolazione. L’elenco è riportato nel dettaglio dall’Institute for the Study of War. E mostra un intento più tattico che negoziale. Eppure, qualcosa si muove.
LA COOPERAZIONE
A Roma, il presidente ucraino Zelensky incontra, a margine dell’intronizzazione di Papa Leone XIV, il vicepresidente e il segretario di Stato americani, JD Vance e Marco Rubio. Conversazione definita «buona» da entrambe le parti. «Abbiamo parlato della necessità di nuove sanzioni contro la Russia – scrive Zelensky – e del commercio bilaterale, della cooperazione nella difesa, della situazione sul campo, del prossimo scambio di prigionieri». Aggiunge: «La pressione su Mosca va mantenuta finché non saranno disposti a fermare la guerra. La Russia non ha mai smesso di colpire i civili». Dice poi di avere inviato una lettera a Trump con «nuove proposte di cooperazione commerciale e partnership economica». La Casa Bianca conferma che Vance e Rubio hanno discusso con il leader ucraino «l’obiettivo comune di mettere fine alla carneficina in Ucraina». L’obiettivo resta l’armistizio. In parallelo, si è mosso il fronte europeo. Il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha fatto sapere che prima della telefonata con Putin, Trump parlerà con lui e i colleghi di Francia, Regno Unito e Polonia. Scopo: far capire a Trump che, se il Cremlino resterà rigido, occorreranno sanzioni alla Russia e rinnovati aiuti militari a Kiev. Netta Ursula von der Leyen, presidente Commissione Ue. «Ci unisce che vogliamo una pace giusta e duratura per l’Ucraina. È il momento di spingere. Questa settimana sarà cruciale». Che qualcosa di importante bolla in pentola lo fa intendere Steve Witkoff, l’emissario ufficioso della Casa Bianca, vicino a Trump: «Lui e Putin si conoscono. Se non può riuscirci lui, nessuno potrà», ha detto a Abc News, lasciando intendere che gli staff di Washington e Mosca stanno preparando un terreno di mezzo in cui entrambi i leader possano vantare un successo. Opzione possibile: una tregua limitata nel tempo, con un corredo ambiguo di motivazioni e condizioni che consenta a Putin di non perdere la faccia, e a Trump di intestarsi il merito.
IL CAMPO
Il problema è che, mentre la diplomazia si agita, sul campo la guerra continua. A Sumy, un minibus con civili è stato colpito dai russi: nove morti. Nella notte, 273 droni hanno sorvolato il cielo ucraino, 88 abbattuti. Almeno 2 vittime e numerosi feriti. La guerra non si ferma. E difficilmente si fermerà domattina. Zelensky lo sa. Cerca di restare nel gioco. «La Russia ha mandato a Istanbul una delegazione senza poteri decisionali, ma noi restiamo disponibili a un cessate il fuoco reale, completo, incondizionato». Alla delegazione ucraina, a Istanbul, sarebbe stato detto chiaramente: o accettate, o sarà guerra a oltranza. Il Cremlino continua inoltre a negare legittimità al governo di Kiev. Accetta solo colloqui «a porte chiuse», senza mediatori, per ridurre l’influenza occidentale e mostrare che è Mosca a dettare i tempi, non Washington o Bruxelles. Non a caso, la ministra della Cultura russa, Olga Lyubimova, ha disertato la cerimonia in Vaticano per non meglio definiti problemi di volo («Motivi tecnici legati all’incongruenza della rotta aerea»). Ma il segnale è chiaro: la Russia non si siede a tavoli che non controlla. Nel frattempo, la politica americana si compatta: basta indulgenza. Una proposta bipartisan guidata dal senatore Lindsey Graham, già forte di oltre 80 firme, prevede dazi fino al 500% sui paesi che continueranno a importare energia da Mosca. Lo stesso Trump, a Fox News, ha detto che Putin «non sta facendo una bella figura». E ha parlato di «sanzioni devastanti» se il negoziato fallirà. Nel frattempo, l’Europa cerca di restare visibile. Pronta a sostenere l’Ucraina, comunque vada a finire la telefonata di oggi.