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Harris-Trump, la situazione a un mese dalle elezioni: dagli "swing states" all'effetto tv, il testa a testa tra i due candidati

2 mesi fa 3
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Manca un mese al voto statunitense, eppure l’avvicinarsi inesorabile dell’election day non sembra scalfire il clima di incertezza totale che sta avvolgendo questa inusuale campagna elettorale. Harris mantiene in termini percentuali un vantaggio lieve a livello nazionale, che non le consente di ottenere un chiaro status di “favorita” nell’avvicinamento a novembre. Infatti, da un lato Trump ha dimostrato di essere in grado di mobilitare l’elettorato repubblicano, raggiungendo sempre risultati superiori (spesso inattesi) rispetto ai sondaggi, dall’altro gli stati chiave in questa elezione hanno un orientamento più conservatore in confronto alla media nazionale: i circa tre punti che separano Harris da Trump (2.7 secondo FiveThirtyEight, 3.4 per Nate Silver) non le garantiscono quindi una maggioranza sicura dei voti elettorali, decisivi per diventare Presidente.

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GLI SWING STATES

La situazione nei cosiddetti swing states infatti è estremamente equilibrata. Michigan e Wisconsin, pur mantenendosi in bilico, sembrano sorridere maggiormente alla candidata democratica, tuttavia, sempre rimanendo nella rust belt, la Pennsylvania si conferma sempre più il vero stato chiave di questo voto, e probabilmente chi prevarrà in questo stato, lo farà per pochissimi voti, come già accadde nelle ultime due tornate elettorali. A ovest, il Nevada vede avanti di poco Harris, mentre nel Sud i sondaggi attribuiscono a Trump un leggero vantaggio in Georgia, in Arizona e in Nord Carolina, dove la candidata democratica mantiene comunque fiducia riguardo a una eventuale rimonta.

L’EFFETTO TV

Il successo nell’unico dibattito presidenziale fino ad ora tenutosi (e destinato verosimilmente a rimanere l’unico) aveva portato Harris a staccare Trump di diversi punti sia a livello nazionale sia in molti stati chiave, ma questo effetto di rimbalzo si è già oramai esaurito, rilanciando il candidato conservatore, che sogna di fare il pieno al sud e di strappare ai democratici la decisiva Pennsylvania, come già fece nel 2016.

Eppure, se guardassimo il solo gradimento personale dei candidati e dei loro numeri due, non ci sarebbe partita: secondo FiveThirtyEight, il 47% degli americani ha un’opinione positiva di Harris, contro il 46% che ne ha un’idea negativa; sul fronte opposto, solo un 43% apprezza Donald Trump, contro il 52,5% di giudizi negativi su di lui. Un saldo positivo, per Harris, contro una differenza negativa di dieci punti per Trump. I loro candidati alla Vice Presidenza mostrano un trend simile: i giudizi per Waltz sono decisamente buoni, è apprezzato da più del 40% degli americani, mentre lo boccia il 36%, quando invece JD Vance ottiene un 35% di giudizi positivi e un 45% di bocciature. Il dibattito tra di loro ha visto molti osservatori preferire il conservatore Vance a Waltz, il quale però ha dimostrato anche in quell’occasione un’empatia e una vicinanza alla gente comune che gli elettori sembrano apprezzare.

Ciò che dà forza a Trump e che lo mantiene competitivo fino all’ultimo in questo decisivo testa a testa nonostante il gradimento personale assai problematico è la sua maggiore credibilità su tre temi fondamentali per gli americani: l’immigrazione, la sicurezza e l’economia. Harris, dal canto suo, fornisce maggiori garanzie alla middle class relativamente al “lottare per difendere le persone come noi”, e viene percepita come più forte sulla tutela dei valori democratici e soprattutto sul tema dell’aborto, grazie al quale i democratici contano di mobilitare in modo capillare le donne negli stati decisivi. A gravare su Harris c’è soprattutto il giudizio, negativo, sull’amministrazione Biden: non è facile fare una campagna di discontinuità da Vice Presidente in carica, per questo la candidata Dem sta impostando la campagna su direttrici mirate ad esaltarne il carisma e più in generale le doti personali, limitando le uscite sulle policies. Una scelta coraggiosa. Capiremo solo tra un mese se si rivelerà anche vincente. Tutto questo, in un Paese più polarizzato che mai, dove più di un americano su tre secondo YouGov non considera legittima l’elezione del Presidente Biden del 2020. Il rischio, con un testa a testa così serrato, è di risvegliarci il 6 novembre travolti ancora una volta da polemiche sulla regolarità del voto.

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