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Dal punto di vista della destra il d-day parlamentare sul caso di Osama Almasri lascia l’amaro in bocca: costretti a passare sotto le forche caudine di un confronto parlamentare che non volevano, costretti ad appigliarsi a cavillose ricostruzioni, costretti a inghiottire l’accusa di codardia rivolta alla premier, la più infamante per un mondo che ha sempre esaltato il coraggio e la capacità di metterci la faccia. Vorrebbero dire la verità – arrestare Almasri avrebbe esposto l’Italia a ritorsioni incontrollabili – ma non possono, e in qualche modo è una vendetta della storia che li ha visti a lungo dall’altra parte, a denunciare gli accordi indicibili del Lodo Moro, le loro luttuose conseguenze, le opache intese che negli anni degli attentati arabi misero in sicurezza il Paese in cambio del libero transito di terroristi e avventurieri di ogni fazione.
Caso Almasri, cartelli di protesta del Pd in Aula: "Meloni dove sei?"
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La delega delle ricostruzioni ai ministri Matteo Piantedosi e Carlo Nordio costituisce uno scudo alla presidenza del Consiglio ma è al tempo stesso un atto di rinuncia politica. Lo hanno capito tutti, lo sanno tutti. E anche per questo, gli interventi dai banchi della maggioranza sono alquanto tiepidi, lontani dal piglio gladiatorio di analoghe occasioni. Forse il solo a non aver fiutato l’aria è proprio Nordio, il mattatore della giornata tra citazioni in latino, frasi in inglese, un turbine di date, orari, aggettivi estremi – l’atto della Corte Penale Internazionale era “eccentrico”, “viziato”, “praticamente nullo”, non tradotto in Italiano – e paragoni storici col processo di Norimberga che fanno rumoreggiare l’aula. «La legge è legge, non si scavalcano le procedure», dice, mentre i volti impietriti dei colleghi cercano di avvertirlo che sta esagerando, che tanto impegno sofistico è eccessivo e rischia di trasformarlo (come poi accuserà l’opposizione) in difensore d’ufficio di un torturatore.
Caso Almasri, Nordio: "Incertezze e criticità nell'atto della Cpi, per noi radicalmente nullo"
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In Transatlantico si discute se la toppa sia peggiore del buco, e forse lo è. La maggioranza non esce benissimo dall’ennesima tempesta sul tema immigrazione, che è la sua forza politica – come riconoscono i più onesti – ma anche la sua dannazione. La forzatura delle regole del gioco ha provocato i tre incidenti più significativi della legislatura. Il caso del naufragio di Cutro, innanzitutto, sfociato di recente nella richiesta di rinvio a giudizio di sei tra finanzieri e militari della Capitaneria di porto, e anche lì il governo e la stessa Giorgia Meloni inciamparono in una ricostruzione piena di buchi oltre che nella rabbia dei parenti delle oltre novanta vittime ignorati da un cerimoniale scombinato. Mesi dopo, la premier ammise che fu il momento più difficile del suo esordio da premier, e chissà che non sia nata in quella occasione la determinazione a evitare i riflettori davanti a questioni umanitarie di portata insostenibile, dove l’approccio cattivista delle destre si scontra con i sentimenti di un Paese ancora capace di commuoversi per le sorti di donne e bambini.
Secondo inciampo, l’affaire Albania, che doveva essere la bacchetta magica di espulsioni rapide a decine, centinaia, a migliaia ogni anno, e a seguire una catena di interventi via decreto per bypassare i giudici amici degli immigrati, bloccare o consentire ricorsi a seconda della convenienza, tutto inutilmente. Tre viaggi a vuoto, che pure se fossero andati a buon fine avrebbero spostato verso Tirana appena una sessantina di rimpatriabili, e per di più l’umiliazione di dover attendere una sentenza della Corte europea per ottenere (se accadrà) il via libera ai progetti dell’esecutivo.
Il caso Almasri è il terzo fatto “che non ci voleva”, soprattutto perché chiama in causa due elementi al centro della narrazione del governo: la celebrata forza e prestigio internazionali riconquistati dall’Italia e la sua fermezza nel tenere testa ai regimi che controllano i flussi dell’immigrazione clandestina. Se è vero – come è stato ipotizzato nel dibattito - che la Corte penale internazionale ha tutelato Germania, Belgio e Inghilterra e ha scelto noi per un arresto scomodissimo, significa che la forza italiana è minore di quanto decantato. Se è vero che sarebbe stato pericoloso non rimpatriare immediatamente Almasri, vuol dire che questi libici non ci temono e rispettano poi così tanto, anzi.
«Fra due giorni non se lo ricorderà più nessuno», dicono i parlamentari avviandosi all’uscita, e ci si consola così, e magari è vero. Sta di fatto che il piglio da bersagliere con cui il governo aveva preso di petto la questione dell’immigrazione è sostituito da una più cauta marcia. Dove risuonavano le nuove parole d’ordine della difesa dei confini e del contrasto al traffico – lotta senza quartiere, orbe terracqueo, eccetera – ora ci si difende in punta di cavillose ricostruzioni sul dove, quando, come, e sugli ostacoli di tradurre il common law in cui si esprime la Corte penale internazionale nel civil law della nostra impostazione giuridica (sì, pure questo è stato detto per spiegare come Almasri sia finito a stappare champagne a Tripoli invece che in galera).