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Oggi sono almeno tre le poste in gioco per la destra italiana nella scelta sul bis di Ursula von der Leyen. La prima è la collocazione dei Conservatori, di cui Giorgia Meloni ha mantenuto la presidenza: si sa che voteranno sparpagliati, ma il sì o il no della loro leader determinerà il modo in cui saranno percepiti in futuro, se come interlocutori di cui tener conto, come ambigui avversari o addirittura componenti del blocco sovranista “nemico”. La seconda è il ruolo dell’Italia a guida centrodestra, che anche grazie alle aperture di Von der Leyen è riuscita negli ultimi due anni a superare molte delle diffidenze che gravavano sulla svolta del Paese: gli incontri, i sorrisi, l’esibita sintonia tra Giorgia e Ursula, sono stati un passepartout di credibilità che un sì potrebbe rafforzare, un no stracciare.

La terza posta riguarda personalmente la premier. Da due anni si parla del fatal bivio a cui è ferma, e questo bivio andrà prima o poi superato in un modo o nell’altro. Un “ni”, attraverso un’astensione o la libertà di voto, avrebbe vantaggi pratici ma smentirebbe la reputazione decisionista di cui gode Meloni. Peggio ancora, potrebbe dare l’idea di una leader paralizzata dalle opposte scelte dei suoi alleati, costretta a barcamenarsi in stile un po’ democristiano tra l’assertivo sostegno a Von der Leyen di Forza Italia e l’assoluta ostilità della Lega. Tra i calcoli del momento c’è l’incidenza dei 24 voti di FdI in una eventuale offerta sottobanco: risulterebbero rilevanti o no? I tre partiti della maggioranza europea contano 401 eletti. Con il sicuro supporto esterno dei Verdi, Von der Leyen avrebbe sulla carta un margine di oltre 90 voti rispetto al quorum di 361. Solo un robusto intervento dei franchi tiratori renderebbe “l’aiutino” meloniano decisivo, e quindi remunerativo, rivendicabile, politicamente vantaggioso.

Anche a causa del sostegno ambientalista alla maggioranza europea, il voto di oggi diventa per FdI qualcosa di diverso da una contrattazione do-ut-des, dove far valere i propri numeri. È una decisione politica a tutto tondo, forse la più importante in assoluto per la nuova destra di governo: quella che ne determinerà il futuro. Farsi largo come forza protagonista del sistema europeo o continuare a coltivare più o meno apertamente la caratura euroscettica che fino a poco fa condivideva con i Patrioti di Viktor Orban, Santiago Abascal, Marine Le Pen e lo stesso Matteo Salvini. È il mondo che ieri, nel primo test elettorale del nuovo Europarlamento, ha qualificato il suo orizzonte votando all’unisono contro la risoluzione a sostegno dell’Ucraina. Un mondo minoritario – il testo è passato con 495 voti favorevoli, 137 contrari e 47 astensioni – che tuttavia i meloniani stentano ad abbandonare: l’astensione di FdI sul capitolo che censurava Orban racconta la fatica di voltare le spalle al vecchio amico, nonostante la sua svolta filo-putiniana.
«Quando sei in dubbio, segui il tuo naso», dice una memorabile frase di Gandalf, il mago-guida del libro di riferimento della destra meloniana, Il Signore degli Anelli. La sua Compagnia è persa in oscure miniere ed è un sentore di aria fresca a far capire qual è la direzione da imboccare. Già, ma da dove arriva il soffio nell’Italia di oggi? Dalle sparse truppe del sovranismo e dall’idea di diventarne il volto più presentabile e importante? Dall’America trumpiana che coccola l’euro-scetticismo e si prepara a sceglierlo come interlocutore della Casa Bianca? Oppure dalla parte opposta, quella di un’Europa confusa e in crisi di identità, ma pur sempre lo spazio del nostro destino economico, sociale, politico?