Home SignIn/Join Blogs Forums Market Messages Contact Us

Il nuovo Papeete a rilascio lento ma Meloni evita lo scontro

10 mesi fa 50
ARTICLE AD BOX

Il Papeete 2024 di Matteo Salvini è un Papeete a lento rilascio, a tappe, un Papeete furbo che lavora sui silenzi e sull’assenza oltreché sulle parole. Clamorosa quella di ieri in Senato, dove tutto il governo si è messo in posa per ascoltare le comunicazioni di Giorgia Meloni in vista del prossimo Consiglio Europeo. Era la photo-opportunity di gruppo che avrebbe dovuto dare forma visibile alle rivendicazioni di unità del centrodestra sulla politica estera, i rapporti con l’Unione, il giudizio su Vladimir Putin, sulla guerra, sulla plebiscitaria rielezione dell’autocrate di Mosca.

Il Capitano si è sottratto nel modo più provocatorio, senza neppure costruirsi l’alibi di un summit decisivo o di una pedemontana da inaugurare. «Sarà stato impegnato» risponde il capogruppo Romeo ai cronisti. «Serie di incontri al ministero», fa sapere poco dopo il Mit.

Il timore di uno scontro frontale con l’alleato è risultato evidente nelle parole caute con cui Giorgia Meloni ha circoscritto la critica alle «elezioni farsa» di Mosca alle consultazioni indette nelle zone occupate dell’Ucraina. Sul plebiscito russo per Putin meglio sorvolare: a due giorni dalle parole del Capitano sul voto popolare «che ha sempre ragione» ogni diverso giudizio avrebbe messo in evidenza ciò che deve essere minimizzato o eluso, e cioè l’esistenza nel governo di due linee profondamente diverse sui rapporti con Mosca. Un argomento peraltro incandescente pure per l’opposizione, tantoché alla fine è stato un gran democristiano, Pierferdinando Casini, a pronunciare le frasi nette che altri non sono riusciti a dire: «Noi non esprimiamo gioia, non ci congratuliamo con Putin e col suo processo elettorale costruito sul sangue di Navalny».

La politica estera è stata fin dall’inizio il grande atout del governo di Giorgia Meloni, il jolly giocato con successo sul doppio tavolo dell’Europa e degli Usa per prevenire un isolamento che tutti i suoi avversari davano per certo. A Bruxelles l’abbandono dell’euro-scetticismo, la riconciliazione con l’ex nemica Ursula von der Leyen, l’assunzione di responsabilità nella mediazione con i sovranisti e specialmente con Viktor Orban. A Washington il pieno sostegno al fronte occidentale nella crisi ucraina. Qualunque sia il motivo per cui Matteo Salvini si è smarcato dallo schema - furbizia elettorale o chissà che altro - il potenziale danno per il governo potrebbe essere enorme. E si capisce che la sola linea possibile sia negare quella divisione, ridurre le frasi del Capitano a battute ininfluenti, come a suo tempo si fece con le esternazioni di Silvio Berlusconi sulle «persone perbene» che Putin avrebbe voluto insediare in Ucraina al posto di Volodymyr Zelensky.

«Non c’è nulla oltre alla linea politica che un governo vota in aula, e rappresenta all’estero, che dimostri la compattezza di una maggioranza», ha scandito ieri in aula la presidente del Consiglio, confermando lo schema studiato per depotenziare le sortite salviniane. Quel che conta sono i sì e i no parlamentari. Tutto il resto è fuffa. Reggerà questa versione alla guerriglia del Capitano? Quando, sabato prossimo, saliranno sul palco della Lega i filo-putiniani di tutta Europa per la nuova convention di ID, sarà ancora possibile negare le divergenze di linea nel centrodestra italiano?

Il Rassemblement national di Marine Le Pen, che sarà ospite d’onore dell’incontro convocato a Roma, due giorni fa a Bruxelles non ha partecipato al voto sull’accordo per gli aiuti all’Ucraina, dimostrando con chiarezza la parte che ha scelto. Il capo dell’Afd tedesca Tino Chrupalla, altro invitato di riguardo alla convention, ha definito insopportabili le accuse a Putin per la morte di Alexei Navalny, condannando come “sceneggiata” l’indignazione del mondo per l’oscura fine del dissidente in un carcere siberiano. Insomma, l’imminente riunione di Identità e Democrazia si preannuncia ad alto rischio per la tesi «sulla politica estera l’Italia ha una sola voce»: tutto fa pensare che sarà un’altra tappa del Papeete a lento rilascio con cui Salvini ha deciso di gestire la marcia di avvicinamento alle Europee.

E tuttavia Meloni resta una ragazza fortunata. L’accusa di ospitare in maggioranza quinte colonne del fronte putiniano risulta assai meno rilevante davanti a un’opposizione che in Senato si è divisa tra cinque diverse risoluzioni. E le mattane di Salvini alla fine equivalgono a certe sfortunate battute di Giuseppe Conte, tipo l’invito a Zelensky a sostituire la divisa militare con giacca e cravatta (che nella replica ha dato a Meloni l’assist per una battuta indignata). Agli alleati europei, all’amico americano, questo governo e questa maggioranza probabilmente appaiono tutt’ora più affidabili rispetto al gran caos che si vede dall’altra parte. Salvo ulteriori eccessi anche il tira-e-molla del Capitano potrà essere assorbito come elemento folkloristico, pedaggio pagato al declino di un leader in ansia da prestazione. «Vabbè è il solito Salvini» si dirà, e si tirerà avanti sperando che il Papeete lento resti tale e non arrivi al colpo di testa.

Leggi tutto l articolo