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Il senso dello Stato che manca al Paese

2 giorni fa 1
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In un bell’articolo di fine anno su questo giornale, Elsa Fornero ha proposto come obiettivo irrinunciabile per il 2025 quello di ricostruire un po’ più di «senso dello Stato» inteso come consapevolezza di un interesse collettivo superiore e convergente con gli interessi personali. Quel senso dello Stato diffuso negli anni del boom economico che sono oggetto di un recente libro di Nicola Rossi, Un miracolo non fa il santo, da cui muove l’articolo di Fornero.

In effetti, il «miracolo» fu dovuto a una serie di condizioni finanziarie e giuridiche ma anche a una forza morale propria di chi aveva visto e vissuto l’abisso e da esso voleva riemergere. Secondo la professoressa, è il fatto che esso venne meno ad aver impedito il protrarsi di quella felice stagione di crescita e sviluppo.

La ridotta finestra temporale di quel periodo in cui senso dello Stato, per dirla con Fornero, e crescita economica andarono di pari passo dovrebbe condurre a un domanda di fondo, che poi è la stessa che ha spinto Nicola Rossi alla sua recente pubblicazione e alla raccolta degli importanti dati che la corredano.

La questione è se non occorra cambiare prospettiva e chiederci non tanto perché dagli anni Sessanta in poi è cominciato un lungo declino economico e con esso politico, quanto piuttosto perché siamo riusciti a crescere così tanto e bene nei quindici anni successivi alla seconda guerra mondiale. Insomma, dovremmo cominciare a domandarci non perché la capacità di migliorare le condizioni individuali e collettive si è fermata all’inizio dell’epoca repubblicana, ma quali sono le condizioni grazie alle quali, per un tempo molto circoscritto, essa è avvenuta.

Ribaltare in questo modo la prospettiva ci aiuterebbe a cogliere meglio l’eccezionalità di quegli anni e la normalità di un contesto culturale – come scrive Rossi – avverso al rischio, all’iniziativa privata, alla concorrenza e, in maniera complementare, incline a un rapporto paternalistico e clientelare tra amministrazione, politica e impresa.

La presenza di una burocrazia ingombrante e di una spesa pubblica che tradiscono profonde intenzioni assistenzialistiche e paternalistiche, l’incapacità di cavalcare, se non anticipare, i cambiamenti, la mancata fiducia nel mercato, la scomparsa di un partito liberale che fosse autenticamente erede degli insegnamenti di Einaudi possono essere non la causa, ma la conseguenza di un generale modo di essere e di rapportarci alle istituzioni politiche e economiche. D’altro canto, sarebbe ingeneroso pensare che prima e dopo il quindicennio postbellico non vi siano stati uomini delle istituzioni, da Sella a Minghetti a Giolitti, da Pertini a Moro, a cui mancasse il senso dello Stato. Ma la generale considerazione dei cittadini come incapaci di provvedere da sé e in maniera matura e responsabile ai propri bisogni – riflesso del modo stesso in cui essi si vedono e si comportano – fece del senso dello Stato una sorta di esercizio di potestà genitoriale.

Rovesciare la narrazione sul declino successivo agli anni del boom consentirebbe di guardarci meglio allo specchio e capire dove siamo arrivati oggi, piuttosto che fermarci a guardare dove siamo riusciti ad essere ieri. Capiremmo ad esempio come sia potuto accadere col benestare di tutti i partiti e dell’opinione pubblica uno sfascio dei conti pubblici come quello del Superbonus, le cui spaventose proporzioni e conseguenze solo ora sono state ben documentate da un altro importante libro di Carlo Stagnaro e Luciano Capone (Superbonus: come fallisce una nazione, Rubbettino editore).

Una simile presa d’atto darebbe probabilmente un significato ulteriore al senso dello Stato di cui parla la professoressa Fornero.

Quello che manca alla nostra cultura, non da ora e non diversamente da altre, non è solo l’idea di far parte di una comunità il cui interesse generale è humus per lo sviluppo degli interessi individuali. Quello che ci manca in maniera specifica è il senso dello Stato inteso come consapevolezza di quello che esso può e deve fare, come capacità di dare un limite alla sua azione, di tratteggiare un adeguato confine di compiti e poteri tra privato e pubblico. Senso dello Stato, cioè, come coscienza del ruolo delle istituzioni e come dovere di buon andamento dell’amministrazione, nell’adempimento dei suoi più alti compiti e di quelli soltanto. Nella consapevolezza che diversi e non meno importanti compiti possano essere lasciati al dinamismo dell’iniziativa privata, proprio come avvenne negli anni del miracolo economico.

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