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Il ministro della Difesa Gallant parla alle reclute nella base di Tel Hashomer: e il suo discorso suona come un preludio ad un accordo che prevede «decisioni difficili» da parte di Israele, se vuole ottenere il rilascio degli ostaggi da sei mesi nelle mani dei terroristi di Hamas. Un discorso in cui alterna i toni gravi alla rivendicazione di successi ottenuti sul campo quasi a voler preparare l’opinione pubblica e i militari del suo paese ad una imminente svolta. E Netanyahu - stretto tra le pressioni internazionali che gli chiedono con insistenza di arrivare a una tregua, quelle delle piazze interne che invocano le sue dimissioni e perfino quelle dentro la sua maggioranza che respingono l’ipotesi di concessioni al nemico, sollecitando l’azione militare al sud della Striscia - cerca di barcamenarsi, arte nella quale si misura da diversi anni. E così, mentre il suo ministro della Difesa dice che è giunto il «momento opportuno» per un accordo, lui fa sapere che l’operazione a Rafah si farà e che è già stata fissata una data perché – aggiunge – non può esserci vittoria senza una operazione in quell’area dove sono attualmente accalcate decine di migliaia di civili e dove si ritiene possano nascondersi i due capi dell’organizzazione terroristica, Sinwar e Deif, responsabili del massacri del 7 ottobre insieme al loro prezioso carico di ostaggi.
Israele: «Continueremo verso Rafah e distruggeremo Hamas»
LE INDISCREZIONI
Le voci su un possibile, imminente, accordo filtrano dal Cairo tra smentite e dichiarazioni ottimistiche. Si parla di tre fasi, di una tregua dalla durata ancora imprecisata, del ritorno degli sfollati al nord, operazione che potrebbe essere monitorata da una forza araba neutra oltre ad uno scambio tra ostaggi rapiti dai terroristi sei mesi fa e prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane.
Di certo Netanyahu, con il ritiro di gran parte dei battaglioni impegnati nella Striscia, ha già fatto un passo nella direzione richiesta d Biden. E la sua dichiarazione di ieri ha il sapore di una risposta ai due scomodi alleati della ultradestra messianica che avevano minacciato di ritirarsi dalla coalizione. Tre righe secche scritte su “X” da Ben Gvir e una lettera di fuoco firmata dal capo dell’Unione Nazionale Smotrich per far sapere al capo del governo che non accetteranno che la guerra ad Hamas possa fermarsi senza aprire il capitolo Rafah.
LE MINACCE
Il ministro della Sicurezza scrive che qualora Netanyahu decidesse di concludere la guerra senza «un ampio attacco» nella città al sud dell’enclave, «non avrà più il mandato per continuare a servire come Primo Ministro», mentre Smotrich chiede una riunione urgente del Gabinetto per la sicurezza, l’unico, a suo dire, abilitato a prendere le decisioni che invece sono attribuite al più ristretto «gabinetto di guerra» di cui fanno parte i ministri senza portafoglio Gantz e Eisenkot, ma non loro.
Da Washington dove ha avuto una serie di incontri ai massimi livelli con i rappresentanti dell’amministrazione Usa, il capo dell’opposizione Lapid offre il suo sostegno al governo nel caso di dimissioni dei due capi dell’ultradestra: l’obiettivo - fa sapere - è arrivare ad un accordo per la liberazione degli ostaggi, e il partito di cui è leader, “Yesh Atid”, con i suoi 24 voti potrebbe di gran lunga sostituire i 14 voti assicurati da Ben Gvir e Smotrich.