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L’Eurocamera boccia Orban. Spaccature nelle file di Ecr e Pd: “No ai raid in territorio russo”

6 mesi fa 7
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STRASBURGO – Il primo atto politico del nuovo Parlamento europeo è una risoluzione per ribadire il pieno sostegno all’Ucraina «per tutto il tempo necessario e in qualsiasi forma necessaria», ma anche per condannare le ultime mosse del premier ungherese Viktor Orban. Un testo che prova a definire una linea comune sulla politica estera che è stato appoggiato da una larga maggioranza (495 voti a favore su 679) formata dai tre gruppi della coalizione «tradizionale» (socialisti, popolari e liberali), ma anche dai verdi e dai conservatori. Contrari i Patrioti, i sovranisti e la sinistra: tra i 137 «no» ci sono dunque gli eurodeputati della Lega, quelli del Movimento 5 Stelle e quelli di Sinistra Italiana. Ma anche gli italiani di Europa Verde (compreso l’indipendente Leoluca Orlando, ma non Ignazio Marino, che era assente) e i «pacifisti» del Pd, Cecilia Strada e Marco Tarquinio.

Il testo votato ieri dagli eurodeputati, però, conteneva alcune mine rivelatesi problematiche per molte delegazioni, in particolare quelle italiane. Due, in particolare, i punti più controversi: la possibilità per Kiev di utilizzare le armi fornite dall’Europa per colpire sul suolo ucraino e la condanna alla «missione di pace» di Orban. E così sono scattati i distinguo, fatti emergere con la richiesta di tenere votazioni separate sui paragrafi più delicati.

Gli eurodeputati del Partito democratico, per esempio, in fibrillazione fin dal mattino per le diverse sensibilità presenti nella delegazione europea, hanno fatto tutto il possibile per arrivare a un compromesso. E soprattutto per non spaccare il partito al primo vero banco di prova europeo. Perché un conto sono le scelte di Marco Tarquinio e Cecilia Strada, eletti come indipendenti non iscritti al Pd, e già schierati sul fronte pacifista durante la campagna elettorale. Un altro sono i voti di chi, invece, ai dem è iscritto. Inoltre l’ala riformista che si riconosce in Stefano Bonaccini, e che in Italia è in minoranza, a Strasburgo e Bruxelles rappresenta invece la maggioranza del partito. Per tenere insieme le colombe, a cominciare da Annalisa Corrado e Camilla Laureti (fedelissime di Elly Schlein), e il resto della delegazione, si è così scelto di votare compatti il sostegno finale alla risoluzione, e di schierarsi invece altrettanto compattamente contro l’articolo 5, quello riguardante la possibilità di utilizzare le armi europee per colpire il territorio russo. Uniche eccezioni la vice-presidente dell’Europarlamento Pina Picierno ed Elisabetta Gualmini, che su questo punto si sono astenute. Oltre a Lucia Annunziata, che per un problema tecnico con la scheda non ha proprio votato.

La questione dei raid in territorio russo ha portato ad alcune differenziazioni anche all’interno del centrodestra. Fratelli d’Italia si è astenuta mentre Forza Italia, probabilmente tratta in inganno dal meccanismo elettorale (che prevedeva di «splittare» in più parti il testo complessivo eliminando teoricamente quelle bocciate dalla maggioranza), ha votato a favore. Che però non si sia trattato di un gesto volontario lo ha chiarito poco dopo una dichiarazione del ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha ribadito la linea «prudente» da sempre espressa dal governo e dal suo partito. «La nostra posizione rimane la stessa - le parole di Tajani -: non utilizzare le armi fuori dal territorio ucraino. Non siamo in guerra contro la Russia e non lo è neanche la Nato».

Sul fronte dei Conservatori, poi, Fratelli d’Italia si è distinta anche per la posizione sulle iniziative diplomatiche del primo ministro ungherese Viktor Orban. «Pur avendole già giudicate in maniera critica nei giorni scorsi - chiarisce il capo delegazione Carlo Fidanza -, abbiamo votato contro la prima parte che conteneva un attacco strumentale al governo ungherese che nulla a che fare con le sorti dell’Ucraina». «Siamo contrari alla mostrificazione di Orban» aggiunge Nicola Procaccini, co-presidente del gruppo Ecr. Un modo per ribadire il sovranismo culturale di fondo dei Conservatori, ma anche per mettere le mani avanti in vista dei possibili futuri attacchi dei Patrioti, ormai impegnati a sfruttare ogni occasione per evidenziare le contraddizioni dei vicini di banco.

In chiave italiana il confronto serrato a destra, ovviamente, è già bello che iniziato. La Lega, rivendicando il suo no convinto all’intera risoluzione, parla di atteggiamento strumentale della nuova maggioranza europea che utilizza il sostegno all’Ucraina, «che la Lega non ha mai fatto venire meno in Italia e in Europa», per attaccare in maniera «inopportuna» il presidente di turno dell’Unione Viktor Orban. Sull’uso delle armi in territorio russo, poi, il Carroccio parla esplicitamente di «richiesta che appare in contraddizione con la linea dello stesso governo italiano». Un assaggio di quello che potrebbe succedere da domani in poi sull’asse Roma-Parigi-Bruxelles. A dettare la linea nei Patrioti è infatti il leader del Rassemblement National, Jordan Bardella. «La risoluzione che proponete oggi - ha detto il francese nel suo intervento in Aula - pone diversi problemi. Il fatto che ogni Stato membro debba destinare per principio lo 0,5% del Pil annuo all’Ucraina vuol dire per la Francia mettere 7 miliardi l’anno. Non siamo a favore della fornitura di armi che permettano di attaccare direttamente il territorio russo e all’ingresso dell’Ucraina nella Nato. Sono due opzioni che presentano un rischio escalation con una potenza nucleare».

L’Ungheria, infine, è sullo sfondo anche di un altro piccolo ma significativo scontro avvenuto ieri a Strasburgo fra Patrioti e Left nonostante la comune opposizione alla risoluzione sull’Ucraina. «Chiedo che venga fatta luce su una deputata che picchia le persone con un martello» ha detto prima del voto il patriota austriaco Georg Mayer, attaccando apertamente Ilaria Salis. «Salis ha difeso i diritti fondamentali ed è stata imprigionata da Orban per questo. È un onore averla qui, e con noi combatterà il vostro regime» la pronta risposta della francese Manon Aubry, capogruppo di Left.

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