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La guerra dei francobolli: pezzi unici da tutelare come documento storico o multipli che appassionano solo i filatelisti?

9 mesi fa 12
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ROMA. Nel placido mondo dei francobolli s’è combattuta una guerra furibonda e segreta, durata tre giorni, conclusa d’imperio da una «pax» ministeriale. E per raccontarla è d’obbligo la terminologia militare. La sovrintendenza archivistica della Lombardia, infatti, il 25 marzo ha tentato un blitz: con atto ufficiale ha tentato di bloccare un’asta di francobolli particolarmente rari a cura della casa d’aste Ferrario.

Era in vendita per singoli pezzi una collezione dedicata alle emissioni filateliche di Fiume, anni 1918-1924. Gli anni della Reggenza di Gabriele D’Annunzio e poi dello Stato libero di Fiume. Secondo la Soprintendenza, questi francobolli avevano un valore storico per lo Stato italiano da tutelare, il che significa in concreto che non potevano essere venduti all’estero. E con le aste telematiche di oggi ciò significa che non potevano essere venduti mai.

Ci sono state fuoco e fiamme. Anche perché era la prima volta che una Soprintendenza si interessava ai francobolli tal quali, grazie a una interpretazione assai estensiva del concetto di «documento storico» che è tutelato dal Codice dei beni culturali. Finora infatti lo scontro tra Soprintendenze e collezionisti si è concentrato sulle buste (con francobollo ancora apposto) che hanno un ente pubblico come mittente o destinatario. Mai il singolo pezzettino di carta dentellata.

All’offensiva della Soprintendenza, è seguita la reazione del mondo filatelico. “Per la prima volta al mondo – hanno scritto Bruno Crevato-Selvaggi, presidente della Federazione fra le società filateliche italiane; Sebastiano Cilio, presidente dell'Associazione nazionale professionisti filatelici; Beniamino Bordoni, presidente dell'Unione stampa filatelica italiana e Carlo Giovanardi, l’ex ministro, appassionatissimo collezionista, presidente dell'Associazione Fiume 1918-2018 - se il procedimento avrà seguito, gli acquirenti di semplici francobolli saranno soggetti a pesanti vincoli, mettendo in crisi un mercato che coinvolge milioni di collezionisti, case d'aste, riviste, circoli filatelici, sulla base di presupposti storicamente e giuridicamente abnormi. Fiume infatti dal 1918 al 1924, contrariamente a quanto scrive la Sovraintendenza, fu Stato indipendente, che nulla aveva a che fare con il Regno d'Italia, con regolari emissioni che avevano validità postale soltanto per la corrispondenza in partenza da quello Stato”.

Ma non c’è solo un problema storico di questa asta e di questa notifica: se lo Stato di Fiume è stato mai italiano o no, e quindi il perimetro di intervento di una Soprintendenza. Il nodo è molto più ampio e anche tragicomico: «I semplici francobolli, italiani, di Fiume o di qualsiasi Paese al mondo, nuovi o usati che siano, sono multipli (stampati in centinaia di migliaia di esemplari, se non milioni) quindi certamente non classificabili come pezzi unici suscettibili di particolare tutela».

Difficile, insomma, dargli un carattere di particolare importanza storica. E poi ne andrebbe dell’intero collezionismo. «Questi francobolli sono nella piena disponibilità di chi li ha acquistati, non avendo alcun fondamento giuridico i provvedimenti di una Sovraintendenza che li vuole sottoporre a notifica. Chiediamo pertanto al ministro di intervenire per annullare questa grottesca procedura e che rende ancora più pericolosa l'idea di uno Stato bulimico che restringe sempre di più le libertà dei cittadini pretendendo di controllare e sindacare con vincoli assurdi persino la semplice collezione e circolazione dei francobolli».

A questo punto, così fortemente sollecitata, è intervenuta la Direzione generale archivistica del ministero dei Beni culturali, che ha imposto il disarmo a quelle Soprintendenze regionali che avessero avuto voglia di andare avanti con i blitz. Il direttore generale

Antonio Tarasco ha diramato una circolare vincolante per tutti gli uffici. Ha premesso che i «valori filatelici» possono presentarsi in tre forme: staccati dai rispettivi supporti e non più ad essi riconducibili; aderenti a buste o altri involucri privi del contenuto originario; applicati direttamente su un documento o su buste o altri involucri contenenti documenti. Ma il problema era stato già affrontato e risolto con una circolare del 1986, ribadita oggi: «Nei primi due casi, il materiale filatelico (rappresentato sia da pezzi singoli che da collezioni) non appare riconducibile alla categoria di documento in senso stretto e non ricade quindi nella competenza istituzionale di questa amministrazione. Solo nella terza ipotesi può configurarsi una fattispecie riconducibile alla legislazione archivistica».

Rimane il caso di qualche busta particolarmente preziosa, con francobollo ancora al suo posto. «Solo in tale residuale fattispecie – termina la circolare – è astrattamente configurabile la competenza di codeste Soprintendenze a valutare l'interesse archivistico sopra i documenti di natura pubblica o privata, e giammai i soli valori filatelici. Si confida nella puntuale osservanza di quanto sopra». Finisce qui la guerra ai francobolli chiusi negli appositi quaderni e ai loro appassionati.

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