ARTICLE AD BOX
Damasco e New York: due luoghi simbolo per i due “partiti” concorrenti dell’islam totalitario. In Siria Al Qaeda che ha letto Machiavelli conquista, facilmente, uno Stato in fallimento, sfruttando alleanze interessate, vuoti geopolitici e con rassicuranti promesse di moderatismo a cui conviene a tutti credere. Lo Stato Islamico, invece, torna a colpire con un attentato sanguinario nel centro del potere dell’Occidente, e ci riconduce brutalmente al nocciolo della strategia terrorista cioè il ritorno alla frenesia omicida.
«Nessuno è innocente» gridò Ravachol scagliando una bomba contro gli stupefatti avventori del Café de la Paix a Parigi. Che sia nichilista o in nome del jihad l’attentato terrorista è sempre racchiuso in quella frase, non atto irriflessivo, impulso cieco, sospensione della ragione, obbedisce semmai a una logica rigorosa di cui la strage è necessaria conseguenza. C’è una colpa teologica o economica o politica che la società condivide e deve esser castigata e corretta con la violenza.
Volete prove concrete della confusione che impaluda il comando supremo dell’impero di Occidente? Lo Stato islamico ha prosciugato i nostri pensieri per tre, quattro anni quando inglobava concrete turbolenze tra Raqqa e Mosul e ci dava appuntamento per l’Apocalisse. Caduto il Califfato territoriale, non per mano nostra ma grazie a curdi eroici e ad ambigue bande di sciiti modello Iran, abbiamo chiuso “l’affaire” conservando asciutto il nostro container di comodi convincimenti e allegre certezze: era soltanto una banda retrò di fanatici e di pazzi... Bella immagine, peccato che sia falsa. Intanto altri guai a latitudini più vicine incombevano.
Il ritorno tragicamente simbolico del terrorismo nella nostra parte del mondo (in fondo l’unica che ci interessa, le stragi a firma Isis di Mosca e Istanbul chi le ricorda?) ci costringe a sgropparci sull’inverosimile: accidenti! Daesh esiste ancora! E colpisce… negli Stati Uniti...
Eppure da Bamako a Beira, da Mogadiscio alle cupe foreste del Kivu, tutti posti dove ci si sgozza per un tozzo di pane, milioni di persone potevano in questi anni testimoniare mostrando le ferite che il Califfato non è morto, anzi ha moltiplicato nel silenzio, approfittando della distrazione degli infedeli, i suoi crepitanti fuochi ribelli. Il modello guevarista in nome non della Revoluciòn ma di Allah. Lo Stato Islamico esiste sempre, solo che da spicchio del vicino oriente è diventato guerriglia mondiale. Per creare il nuovo musulmano in modo forsennato tra massacri e sgozzamenti.
Il vecchio slogan del califfato era «baqiya», da tradurre «che esiste», «che persiste», dunque qualcosa che è là per durare. Messaggio chiaro e rassicurante per i combattenti e le aspiranti reclute: Mossul e Raqqa sono stati solo un episodio nella purificazione spietata del mondo, i nostri tempi sono lunghi come quelli di Dio, noi detestiamo l’uomo nella sua mostruosa imperfezione.
La eliminazione in serie dei califfi ha dimostrato che la Guerra santa sopravvive al fragile destino dei capi. Anche se la vecchia guardia siro-irachena che ha cesellato il progetto del neo-califfato è stata fisicamente cancellata una nuova generazione avanza, arruolata in altre province dell’islam radicale con ambizioni non inferiori. Il metodo è lo stesso: la spietatezza come marchio.
In Africa, la “provincia” più redditizia, lo Stato Islamico ha applicato un sofisticato, accorto reticolo di alleanze con gruppi clanici, tribali o puramente criminali (la vera economia del Sahel) che hanno bisogno di un riferimento di prestigio con una crudeltà efficiente a cui agganciare le loro mischie locali. Diplomazia serpentina in mezzo al braciere di un continente in fiamme: tuareg contro neri, post colonialisti francesi in fuga, carovane di migranti e traffici, la legione straniera russa e il business cinese, regimi di sergenti o i nostri vecchi complici dediti al saccheggio in letizia. E soprattutto una devastante miseria contro cui il nostro illuminismo parolaio non serve a nulla, neppure come consolazione. Funziona, eccome, il richiamo a una controvita violenta e riparatrice. Mentre qualche gerarchetto della statistica in Europa inventa il miracolo economico africano, milioni di affamati aspettano un kalashnikov per fare tabula rasa.
Nel 2014 Al Baghdadi e soci avevano fatto promesse alla popolazione di Raqqa e Mosul: l’acqua, l’elettricità, strade senza esazioni, ospedali. Nessuna mantenuta. Ma nel Sahel non ne hanno neppure bisogno, ci sono dannati della terra che sognano solo uno schiocco di dita nella Storia, un mondo liberato da traditori, stranieri, valletti dell’imperialismo, parassiti.
L’Islam africano, dolce musicale e paziente, si decompone sotto le prediche furibonde di predicatori salafiti che si annettono le moschee e predicano il jihad rivoluzionario. Nelle zone del califfato tra Mali, Niger e Burkina Faso, che dilaga verso sud verso il golfo di Guinea, è in fuga oltre alla Legione anche la cooperazione occidentale che era prova di aiuto e di impegno, correttivo parziale delle nostre complicità.
In Siria lo Stato Islamico ha riorganizzato le proprie forze in zone remote e marginali. L’assalto spettacolare alla prigione curda di Assakè dove sono custoditi i prigionieri ha dimostrato che stava rialzando la testa. Le donne dell’Isis vi allevano i piccoli martiri del nuovo califfato. Il dopo Bashar di taglio islamista offre molte occasioni.
La sconfitta nella terra dei due fiumi è stata giustificata come una aspra prova voluta da Dio per svelare ancor più chiaramente i nemici, l’Occidente e l’Iran degli eretici. Ora ognuno con ogni mezzo, anche locale o artigianale, deve scagliarsi contro i miscredenti alimentando il terrore, tutto diventa “dar al-Harb”, territorio della guerra…
Voleva andare in Siria a combattere per l'Isis: fermata una 19enne
Al Qaeda vuole disciplinare le reclute con un vangelo teologico e ideologico, creare una élite che con ogni mezzo realizzi una strategia. Bisogna essere un buon musulmano radicale per essere annesso alla guerra santa. Lo Stato Islamico al contrario vuole reclutare in massa. Aderire a Daesh è automaticamente diventare un buon islamista, il passato di peccatore è cancellato con un solo atto, è la raccolta radicale.
L’ex delinquente di banlieue, il pastore analfabeta del Mali o dell’Asia centrale diventa automaticamente eroe dell’Islam e iscritto al paradiso.