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La marcia contro il premier Netanyahu: “Smetta di sabotare l’intesa”

6 mesi fa 9
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Sono usciti dalla galleria dello svincolo di Harel, alle porte di Gerusalemme, abbagliati dal sole del mattino. Il pensiero dei familiari degli ostaggi israeliani a Gaza, seguiti da migliaia di sostenitori, è andato ai loro cari, a cui quella sensazione è negata, prigionieri nei tunnel sotterranei di Hamas da nove mesi.

Dopo quattro giorni in marcia, il corteo partito da Tel Aviv ha raggiunto l’ufficio del primo ministro, nel complesso governativo di Gerusalemme. Il Forum che rappresenta i rapiti e le loro famiglie insiste a ricordare al premier Benjamin Netanyahu che «non ci sarà vittoria finché non avrà riportato a casa tutti i 120 ostaggi» e che «ora è il momento di incaricare i negoziatori di concludere l’accordo».

Lungo il percorso, all’altezza dello scenografico Gesher HaMeitarim - il ponte delle corde - Natalie Zangauker, il cui fratello Matan è prigionero a Gaza, ha tracciato con la vernice spray, sul fianco del capolavoro di Calatrava, la scritta «Stop al sabotaggio».

Il messaggio è rivolto a Bibi (il diminutivo con cui è noto Netanyahu), accusato da molta opinione pubblica di anteporre altri interessi e fini alle trattative per l’intesa. «Sta aumentando il carico di richieste alla proposta sul tavolo. Questo potrebbe costare la vita a Matan», ha detto Einav Zangauker, che del ragazzo è la madre. «Chiediamo che smetta di sabotare l’accordo e che metta da parte tutte le considerazioni personali e politiche», ha aggiunto la donna.

Qualunque sia l’esito dell’operazione militare israeliana su Al Mawasi per eliminare il capo militare di Hamas, Mohammed Deif, e il comandante della Brigata Khan Yunis, Rafah Salameh, la notizia ha raggiunto i manifestanti in marcia e ha destato sentimenti contrastanti.

«Noi tutti sosteniamo che gli assassini di Hamas siano da ritenere responsabili – ha commentato la madre di Matan – ma non a scapito della vita dei nostri cari e della nostra possibilità di riaverli indietro», ha precisato. La paura delle famiglie degli ostaggi è che «siamo sull’orlo di un accordo e la cosa potrebbe esploderci in faccia».

Di parere opposto sono alcuni funzionari israeliani che hanno parlato con il giornalista Barak Ravid. Come ha scritto lui stesso su X e poi sul sito israeliano di notizie Walla!, tutte e tre le sue fonti sono allineate nel ritenere che l’attacco per uccidere il numero uno dell’ala militare di Hamas, soprattutto se sarà andato a buon fine, avrà un risvolto positivo per le trattative per la liberazione degli ostaggi e per il cessate il fuoco a Gaza.

Il leader dell’opposizione, Yair Lapid, si è unito all’ultima tappa della marcia da Tel Aviv a Gerusalemme e dalle corsie autostradali occupate e bloccate al traffico ha attaccato l’antagonista Netanyahu. Il rivale del premier l’ha criticato per esser sempre pronto a raccogliere gli onori– come tenere una conferenza stampa dopo un successo, e ieri sera Bibi ha convocato i media dopo l’attacco su Deif – ma di negarsi davanti agli oneri. «Chi non si assume la responsabilità dei propri fallimenti non ottiene credito per i successi», ha scritto Lapid su X, facendo riferimento all’indagine dell’esercito – resa nota giovedì – sugli errori e le inadeguatezze della difesa del kibbutz Beeri durante il massacro del 7 ottobre.

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