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Abbraccia Zelensky. Non lascia la mano a Trump, semmai la stringe di più. Frena le fughe in avanti Macron e Starmer: l’Europa da sola non va da nessuna parte. A Londra Giorgia Meloni imbocca la via più scoscesa. Tenere tutti allo stesso tavolo, quando c’è chi, a Washington come a Bruxelles, vorrebbe apparecchiare un tavolo a parte. «Ho trovato Zelensky dispiaciuto, come lo siamo tutti». Cinque del pomeriggio. Il vertice di Starmer è appena finito, il corteo italiano pronto a partire. Di fronte alla residenza dell’ambasciatore la premier sospira e torna sullo show di Trump e Vance allo Studio Ovale che ha spiazzato il mondo. «L’ho trovato molto lucido, razionale come sempre, una persona che vuole cercare soluzioni, ovviamente parla dal punto di vista di una nazione aggredita», racconta Meloni del suo incontro con Zelensky alla Lancaster House, quando gli dice «saremo al vostro fianco» e l’ucraino la ringrazia, subito prima di chiudersi a conclave con i leader europei atterrati nella City. Dopo giorni di riflessioni, dubbi, la presidente del Consiglio italiana si è messa in moto. Sabato sera la telefonata a Trump.
Per tentare una difficile mediazione, spiegare che serve una soluzione condivisa da tutti per il conflitto in Ucraina perché, come ripete ai cronisti a fine missione, «l’unica cosa che non possiamo permetterci è una pace che non rimane. Non può permetterselo l’Ucraina, l’Europa, gli Stati Uniti. Può accadere che questa pace venga violata, è già accaduto in passato».
OUT OF THE BOX
Dunque ieri pomeriggio l’incontro con Zelensky, incastrato tra il bilaterale con Starmer e il summit. «Non credo sia utile per nessuno in questa fase lasciarsi andare alle tifoserie - torna Meloni sullo strappo alla Casa Bianca - certo, sono molto dispiaciuta per quello che è successo». Invita a pensare «in modo creativo, out of the box». Spiega, e qui c’è davvero un passaggio inedito, che tutti, «Trump, Zelensky», perfino «Putin» hanno voce in capitolo, «gli interlocutori sono tanti..». Immagina per l’Ucraina qualcosa di simile «all'articolo 5 della Nato», una sorta di patto dell’Alleanza per difendere il Paese da future aggressioni russe, «che può anche non voler dire un ingresso nella Nato». Dice e ridice che «dividere l’Occidente sarebbe un errore esiziale in questa fase per l’Europa».
Annuncia una missione a breve a Washington Dc: «Andrò alla Casa Bianca, ma l’incontro non è ancora calendarizzato». Insieme, ostinatamente. Europa e Stati Uniti, al tavolo, «in una cornice atlantica» insiste la timoniera di Palazzo Chigi. A porte chiuse, sotto le volte della Lancaster House, parla con Macron e Starmer. Con il premier inglese ha un faccia a faccia già la mattina, al numero 10 di Downing Street, accolta da Larry the cat, il felino che la fa da padrone nella residenza un tempo abitata da Churchill, «sai, io ne ho due!» scherza Meloni con l’inglese. Su due punti si concentra il vortice di incontri. Il primo: il «piano di pace» annunciato in mattinata da fonti del governo francese e britannico. Che si traduce in una missione di interposizione europea al confine tra Russia e Ucraina, una “coalition of the willings” 2.0.
I DISTINGUO
Meloni concorda sul modus operandi: un piano siglato dai tre leader dei grandi Paesi Ue, insieme a Macron e Starmer, da sottoporre a Trump, con il benestare degli altri alleati europei. E il presidente francese la invita a giocare di sponda, in un’intervista al Foglio. «Abbiamo bisogno dell'Italia, di un'Italia forte che agisca a fianco della Francia, della Germania, nel concerto delle grandi nazioni» avvisa il titolare dell’Eliseo». Segue un appello che qualcuno a Palazzo Chigi ha letto come una provocazione. «È necessario che l'Italia sia al nostro fianco, che si impegni in questo percorso, e che lo faccia da grande paese europeo, sulla scia di quanto fece Draghi» rincara Macron. Mentre Starmer alza un assist all’italiana quando fa sapere di concordare «sull'importanza dell'alleanza transatlantica nell'affrontare le sfide condivise». Il diavolo però è nei dettagli. E l’idea di una missione europea, in Ucraina, senza il mandato Onu, «perché non ci sembra che né la Francia né il Regno Unito parlino di un cappello delle Nazioni unite», lamentano dal governo, non convince affatto Meloni. Si dice «perplessa». Confessa a più riprese, di fronte alla stampa, le sue «perplessità».
Con Macron e Starmer ha una «lunga e franca discussione», racconta. Utile a marcare le distanze sull’invio di truppe. «Non mi sembra sia stato presentato un piano, diciamo ci sono degli spunti...» gela i partner da Londra la presidente del Consiglio bollando l’idea anglofrancese come «la soluzione più complessa e meno risolutiva di altre». Per poi mettere a verbale, a scanso di equivoci, «che la presenza di truppe italiane in Ucraina non è mai stata all’ordine del giorno». Forse per sgombrare il campo anche in Italia, dove intanto Matteo Salvini non perde occasione di cannoneggiare l’Ue, Macron, von der Leyen che parlano di «invio di truppe» invece che «lavorare per la pace».
Il controcanto è evidente, da entrambe le parti. Il presidente francese avanza l’ipotesi di estendere l’ombrello nucleare del suo Paese al resto degli alleati Ue? Meloni risponde: no grazie. «È un tema da prendere in considerazione solo con un disimpegno degli Stati Uniti, scenario che eviterei e che non auspico - replica secca - tutto quello che posso fare per mantenere unito l’Occidente lo farò». Si vedrà. Spaventa, all’orizzonte, la mannaia dei dazi americani contro l’Europa che rischia di allontanare di più le due sponde.«Sì, siamo molto preoccupati, siamo una nazione esportatrice - ammette la premier prima di partire in direzione aeroporto - ai dazi l’Europa risponderebbe, si rischia un’escalation che indebolirebbe tutti quanti..». L’Italia si muoverà con l’Ue, mette in chiaro. Sperando però non serva calzare l’elmetto commerciale: «Trump ama parlare di accordi, è un dealer...».