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Daniele Capezzone 08 febbraio 2025
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No, non è una Via Crucis, al massimo la solita “via trucis” della sinistra. E, nell’eterno ritorno del sempre uguale, in un format che non cambia mai da trent’anni, in una coazione a ripetere che si trascina dai tempi di Berlusconi, l’ultima disperatissima stazione del viaggio è sempre la stessa, subito dopo l’attacco per via giudiziaria: il tentativo di sputtanamento all’estero del nemico politico. Il sogno bagnato dei progressisti è sempre il medesimo da quando, a ottobre 2022, Giorgia Meloni li ha battuti: ridurla alla condizione di paria internazionale, di grande appestata, naturalmente in quanto “fascista”, “figlia di M”, “onda nera”, “ultradestra”, e via delirando. E cosa accadeva, durante le più cupe pestilenze medievali, ai poveri lebbrosi? Veniva loro imposto un umiliante e rumoroso campanello, un sonaglio che avvertisse gli altri viandanti del possibile arrivo – sulla loro strada – di un malato contagiosissimo, dunque da evitare. Per la sinistra di oggi, esattamente questa doveva essere la sorte di Meloni in occasione dei vertici internazionali: tenuta a distanza, guardata con sospetto, in ultima analisi messa ai margini delle foto di gruppo.
Di tutta evidenza, le cose sono andate all’inverso: Meloni – piaccia o no – è diventata una specie di rockstar internazionale, è stata rispettata dall’amministrazione Biden e si prepara a essere beniamina di quella Trump, e non c’è capo di governo in giro per il mondo – non necessariamente di destra, anzi – che non abbia stabilito con lei rapporti costruttivi e addirittura cordiali.
CARTA DI RISERVA
E allora che si fa? I compagni nel panico, constatata l’inefficacia dell’“allarme fascismo”, hanno fatto un’altra pensata geniale: puntare sul caso Almasri, sul no italiano alla Corte Penale Internazionale, per imporre alla Meloni un altro genere di segno d’infamia, di lettera scarlatta: non più quello della “fascista”, ma della complice dei torturatori, della madrina della violazione dei diritti umani. A sentire i compagni – solo ieri – erano pronte a essere sparate tre palle di cannone: una all’Europarlamento (dibattito sul diritto internazionale e la Cpi, chiesto dai grillini e applaudito dai piddini), una davanti alla stessa Corte (con una scombiccheratissima denuncia contro Meloni e un paio di ministri), e una nientemeno all’Onu (con un deferimento dell’Italia auspicato da Repubblica davanti al Consiglio di sicurezza). Ridendo per non piangere, si potrebbe dire che la sinistra italiana non si è mai spinta a chiedere tanto nemmeno contro Hamas e Hezbollah: in compenso, lo fa allegramente per Nordio, Piantedosi e naturalmente per la cattivissima premier.
SEMPRE CONTROMANO
Ciò che pare drammaticamente sfuggire agli strateghi della sinistra non sono solo un paio di cose chiamate senso della misura e senso dell’umorismo. Peggio: non sembrano nemmeno rendersi conto del fatto che iniziative così faziose e sconclusionate, estremiste e inconsistenti, appaiono letteralmente lunari all’opinione pubblica. A maggior ragione se collegate a un tema politico che è assolutamente caro agli elettori (non solo a quelli di centrodestra) e cioè il necessario contrasto verso l’immigrazione illegale e clandestina. Sono loro – a sinistra – che camminano e anzi corrono contromano in autostrada. E, persi nella loro follia, si stupiscono se il resto degli automobilisti, quelli che viaggiano in direzione corretta, non solo non li salutano affettuosamente, mali trattano come fonte di pericolo per se stessi e per gli altri.