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Prefetto Lamberto Giannini per la quarta volta in un mese le forze dell’ordine sono state aggredite dai pusher: che cosa sta succedendo al Quarticciolo, periferia di Roma dove lo Stato ha deciso di intervenire con provvedimenti ad hoc?
«Il fenomeno nasce dalla marginalità sociale e dal degrado. Soprattutto fa leva sul numero delle persone. Più sono, più i pusher in questo caso si sentono nella possibilità di reagire o di tentare una reazione ai controlli e agli arresti. Per questo stiamo operando con una strategia precisa: carabinieri, guardia di finanza e polizia quando intervengono lo fanno in maniera compatta, muovendosi in sinergia, in modo da contrapporre una forza adeguata. Lo voglio sottolineare però: gli operatori tutti stanno agendo con grande professionalità. Ci sono rischi enormi, hanno provato anche a sottrarre le armi ai poliziotti. A Roma nelle forze dell’ordine ci sono le eccellenze».
Tra i protagonisti diversi stranieri, sopratutto maghrebini, alcuni giovanissimi, arrivati in Italia come minori non accompagnati o immigrati di seconda generazione. Come in una banlieue: perché al Quarticciolo?
«Abbiamo avuto situazioni simili a Tor Bella Monaca e altrove. Molti arrivano al Quarticciolo dopo essere stati spostati da altre zone dove la loro presenza è stata contrastata. Sono ragazzi che non lavorano e che vengono facilmente arruolati dagli spacciatori. Finiscono per considerare il quartiere un possesso, e tra loro solidarizzano per non perdere l’unica fonte di guadagno. Effetto banlieue? Bisogna lavorare per prevenirlo».
Il Governo ha inserito il Quarticciolo nel decreto adottato per Caivano e altri comuni italiani. È una ricetta calzante?
«Sono convito che, in qualunque modo si chiami, se c’è un intervento di riqualificazione, i cittadini non potranno che averne benefici. Quando partiranno le opere e i finanziamenti, poi ne saranno contenti. Pure su Tor Bella Monaca è in atto una importante riqualificazione».
E anche qui gli spacciatori non hanno mancato di fare sentire la loro voce: alcuni cantieri stradali sono stati ostacolati tanto da non essere stati più svolti in notturna, le risulta?
«Sì e siamo intervenuti, e i cantieri sono ripresi. Per questo qualsiasi tentativo di intimidazione o presenza minacciosa va denunciato e subito. E la risposta deve essere determinata».
Anche al Quarticciolo?
«Bisogna garantite una capacità di controllo h 24. Stasera (ieri, ndr) ci sarà una nuova operazione. Non bisogna arretrare nemmeno di un centimetro, ma essere costanti, pazienti, gocce cinesi. Tra le persone arrestate per le aggressioni di mercoledì, cinque sono già nei centri per i rimpatri e saranno espulse».
Però il tunisino che aveva dato il la alla rivolta contro gli agenti il 16 gennaio è stato rimesso in libertà...
«Noi facciamo il nostro lavoro, le valutazioni sulla applicazione delle misure spetta ad altri e vanno rispettate nell’ambito dell’azione della legalità. Occorre, dicevo, essere pazienti, continuare nell’azione di contrasto, perseverare. Stiamo lavorando anche su altre realtà, come il Corviale per esempio. Posso dire che il numero di operatori delle forze dell’ordine che rimane negli uffici a sbrigare pratiche è ridotto all’osso. Però, certo, problemi che hanno una natura per certi versi sociale non sono risolvibili solo dalle forze dell’ordine».
Che intende?
«Che è indispensabile il coinvolgimento della società e di tutte le istituzioni. E su Roma lo stiamo dimostrando: non c’è comitato per la sicurezza e l’ordine pubblico in cui non si concordino insieme con gli enti locali, le municipalizzate e la Polizia locale gli interventi ad “alto impatto”».
Lei è stato anche a capo dell’Antiterrorismo e, a Roma, della Digos. Recentemente ha parlato di rischio radicalizzazione dei giovani stranieri marginalizzati. Anche questo è un effetto banlieue?
«C’è un rischio potenziale che riguarda il Quarticciolo come altre realtà. Quando a Roma nel 2005 arrestammo uno degli attentatori della metropolitana di Londra, parlando con lui mi colpì il grande senso di sradicamento e isolamento che aveva dopo essere arrivato in Inghilterra. I radicalizzatori erano riusciti a convincere lui e i suoi compagni di squadra di calcio che si erano fatti esplodere in Iraq e in Afghanistan, che quei luoghi dove i genitori avevano conosciuti la guerra erano posti ideali. Adesso, i messaggi di radicalizzazioni si muovono ancora più veloci, sul web. La fascinazione è possibile».
C’è una continuità tra gli episodi di ribellione alle forze dell’ordine per la morte di Ramy Elgaml e il Quarticciolo?
«Non strutturato, ma di emulazione. Una prova di forza diventa merce per il web e un motivo di vanto. Ogni tentativo va arginato e ostacolato».