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Le guerre dei grandi nei volti dei piccoli

6 mesi fa 10
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La guerra è nel viso di un bambino. Guance paffute, capelli biondi, occhi celesti, si guarda intorno con l’espressione stupita e una domanda che non ha risposta. Quella domanda è la guerra. Lo stesso sguardo negli occhi di un altro bambino in un piccolo lembo di terra piagato dall’odio, scuro di pelle e di capelli, scarno di viso e di corporatura, è scampato a una bomba, stavolta è scampato. A Kiev come a Gaza le guerre dei grandi ammazzano i piccoli, è l’assedio a una generazione a cui non viene riconosciuto il diritto di esistere.

In Ucraina come in Palestina si bombardano scuole e ospedali, poi si contano i morti e i feriti, qualche volta diventano numeri in radio o alla televisione, altre volte soltanto silenzio. Il silenzio dei colpevoli.

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Il mondo deve chiedervi scusa, piccolo Roman, piccola Olha, piccolo Ahmed, piccola Fatma, per aver interrotto i vostri giochi, per avervi costretto a sentire i rumori delle esplosioni e le grida di dolore invece che quelle di una gioiosa gara di corsa o di una piccola festa di compleanno organizzata nel parco dietro casa, per avervi insegnato la paura prima ancora del coraggio, per avervi dipinto la faccia di rosso senza che fosse carnevale, per avervi sbarrato gli occhi di uno stupore maligno invece che di una piccola felicità.

Il mondo vi chiede scusa perché il lavoro dei grandi dovrebbe essere la pace e non la guerra, come vi è stato insegnato anche a scuola, se a scuola avete mai avuto la fortuna di andarci. E perché le promesse, quando non vengono mantenute, diventano bugie.

Non ci sono discorsi, ragioni, partiti e cadono i punti di vista di fronte agli occhi di un bambino ferito, perché ferito lo resterà per sempre. I tagli sul viso e sul corpo potranno sanarsi col tempo, qualcuno resterà mutilato per sempre.

Di molti, di troppi resterà soltanto il ricordo di chi li ha tenuti nel grembo e in poi in braccio. Tutti gli altri resteranno feriti, la guerra non passa vivendo, di guerra ci muore anche chi l’ha scampata e non sa neanche perché.

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Vite mutilate, vite che si attorcigliano su una precarietà che diventa il quotidiano. Le sirene, la fuga, lo scoppio, la conta dei vivi. Raccontateli a Roman, a Olha, a Fatma, ad Ahmed i motivi della guerra, vi guarderanno con gli occhi di questo bambino scampato al crollo di un ospedale pediatrico: come se parlaste una lingua di matti.

Non sanno sentire ragioni, i bambini, e nemmeno ne vogliono, ma conoscono che cos’è il tradimento, quello non lo perdonano: sentirsi al sicuro in un luogo di cura, nell’aula di una scuola, tra le pareti della loro cameretta e sentire uno squarcio nel mondo che si va a prendere quello che resta della loro infanzia.

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