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Le due mozioni di sfiducia con cui si riapriranno i lavori della Camera dopo le pause pasquali, avanzate dalle opposizioni contro il ministro dei Trasporti Matteo Salvini e la ministra del Turismo Daniela Santanchè viaggiano su due piani molto diversi tra loro. Sui destini del primo si regge il governo, su quelli della “Santa”, invece, pesano l’imbarazzo e il fastidio crescenti, all’interno di Fratelli d’Italia, per le inchieste che la vedono coinvolta.
Il voto sul leader della Lega arriverà subito, fissato la giornata di mercoledì 3 aprile, anche se con ogni probabilità slitterà a giovedì 4, ma la maggioranza - assicurano nel centrodestra - sarà compatta nel respingere la sfiducia: «Contano i voti e i fatti, non le dichiarazioni», concordano tutti. Insomma, Salvini è blindato. D’altronde, come dice sornione il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani, «Salvini ha già tanti altri problemi suoi». Nessuno vuole caricarlo di altre grane, specie se capaci di destabilizzare il governo.
Per Santanchè, invece, il voto dell’Aula, inizialmente previsto la prossima settimana, potrebbe slittare al 9 aprile, ma la sua situazione è molto più delicata. La “Santa” è invisa alla base di FdI e le accuse che le rivolgono le opposizioni non sono puramente politiche, quindi più facili da respingere, ma nascono da vicende giudiziarie. Le varie inchieste che colpiscono le società che la ministra amministrava, da Ki Group a Visibilia, rischiano di concludersi con accuse pesanti: dal falso in bilancio alla bancarotta, fino alla truffa ai danni dello Stato. Un’ombra pesante su FdI, in piena campagna elettorale per le Europee.
Dentro il partito della premier, ormai, non la difende pubblicamente più nessuno. La linea di non ritorno è stata fissata su un eventuale rinvio a giudizio: se arriverà, le dimissioni saranno inevitabili. E nel governo c’è chi teme che delle «novità» possano arrivare prima del 9 aprile, giorno del voto. «Se non ci saranno elementi nuovi, non succederà nulla - spiega Ciriani -. Se invece ci sarà qualcosa di inedito, allora vedremo…». E in quel “vedremo” sembra spalancarsi la porta delle dimissioni. In ogni caso, Giorgia Meloni non permetterà che un suo ministro venga affondato dal voto dell’Aula, dando un segnale di debolezza all’esterno e, al tempo stesso, regalando alle opposizioni la soddisfazione di una vittoria politica. Se sarà necessario, le dimissioni verranno chieste a Santanchè prima del voto. La stessa Santanchè aveva ammesso, il 23 marzo scorso, che «dopo la decisione del giudice dell’udienza preliminare, per rispetto del governo e del mio partito, farò una seria e cosciente valutazione». Ora però sembra aver cambiato idea: «Una chiusura delle indagini non equivale a una condanna - si difende -. Nessuno mi ha chiesto di dimettermi».
La Lega e Forza Italia assicurano che non voteranno contro di lei, nel nome del garantismo. Anzi, è una vicenda che «confermerà la compattezza della maggioranza e la piena sintonia tra i leader», assicurano dal partito di Salvini. In altre parole, nessuno creerà problemi. A vederla da un’altra prospettiva: per Salvini e Tajani questo sarà un problema di Meloni, suo e solo suo.