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Il premio Strega lo vincerà Donatella Di Pietrantonio con L’età fragile: lo dicono quasi tutti, e lo dicono da mesi. A supporto ci sono: i numeri, perché è stata la più votata della sestina, con 248 voti; il valore del romanzo; il trascorso (era arrivata in cinquina nel 2021, e se l’era giocata piuttosto bene con il vincitore, Emanuele Trevi: è un’autrice tutt’altro che invisa al premio, ai suoi grandi e piccoli elettori, ai lettori, alle classifiche); l’Einaudi, anch’essa tutt’altro che invisa al premio (nel 2022 ha vinto con Spatriati di Desiati), anche se l’influenza degli editori, da anni, conta poco sull’esito finale del premio, che ai detrattori dietrologi complottisti piaccia oppure no.
Contro Di Pietrantonio ci sono: il sempre possibile ribaltone (i franchi tiratori esistono dappertutto, è il bello della democrazia), che nelle ultime edizioni c’è stato quasi sempre; un avversario parimenti apprezzato, Dario Voltolini, che nella sestina annunciata a Benevento aveva solo 5 punti di distacco da lei; lo spirito indie di questa edizione, che in finale porta due outsider (scusate la parola), Tommaso Giartosio con Autobiogrammatica e Voltolini stesso, che godono da anni, da sempre, di un apprezzamento decisamente non proporzionale al successo editoriale; la variabile non calcolabile di una vittoria che si sposti dai due più votati e vada a Chiara Valerio e al suo Chi dice e chi tace; l’esautorazione, poiché Di Pietrantonio ha già vinto lo Strega Giovani 2024 e se anche non sarebbe la prima a bissare, non sarebbe nemmeno la prima a venire svantaggiata proprio da chi vuole che non ci siano bis, assi rubamazzo.
Domani sera, al Ninfeo, poco prima di mezzanotte, sapremo tutto.
Per gli impazienti ci sono la divinazione o le storie.
Leggenda vuole che chi vince il Premio Strega sia scritto, più precisamente disegnato, nella Strega d’Autore, il Manifesto del Premio che, ogni anno dalla LXX edizione, un illustratore realizza, ispirandosi al disegno di Mino Maccari sulla prima urna di voto, usata dal 1947 al 1980.
È magia, è coincidenza, è preveggenza, è caso, talvolta, magari, anche forzatura. È tutto meno che trucco: il Manifesto viene presentato al pubblico a febbraio, pochi giorni prima che si aprano le candidature degli Amici della Domenica, cioè la prima fase della competizione, quando i romanzi vengono proposti (quest’anno sono arrivate 82 candidature, 2 in più dell’anno scorso: record).
È una storia che ama raccontare Stefano Petrocchi, direttore della Fondazione Bellonci, che ha sede nell’appartamento, cuore mite dei Parioli, dove la fondatrice del Premio, Maria Bellonci, visse (in affitto) e tenne le prime riunioni – informalissimi incontri fra amici scrittori davanti a tazzine di tè – di quello che non immaginava sarebbe diventato il premio letterario più potente, ambito, amato, detestato d’Italia.
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In quella casa, nel corridoio che dall’ingresso porta allo studio di Bellonci, ora di Petrocchi, sono appesi tutti i manifesti: in tutti c’è un segno, un dettaglio, più o meno evidente, che rimanda al romanzo vincitore, e che però è stato disegnato prima ancora di sapere che quel romanzo sarebbe stato anche solo candidato.
Nel 2020 ha vinto Il Colibrì di Sandro Veronesi (La Nave di Teseo) e nel manifesto di quell’anno, il suo autore Emiliano Ponzi aveva disegnato una strega bianca e una nera, una davanti all’altra quella nera richiamava la Malefica di Walt Disney, aveva le ali, moltissime piume, proprio come un colibrì.
Nel manifesto dell’anno scorso, disegnato da Elisa Seitzinger, c’è un piccolo teschio, molto nascosto: Ada D’Adamo, l’autrice del romanzo vincitore, Come d’aria (Elliot), è morta poche settimane prima della finale. Nel manifesto di quest’anno, Andrea Tarella rappresenta le creature di un bosco incantato: il fatto centrale del racconto de L’età fragile di Donatella Di Pietrantonio avviene in un bosco, tra le montagne abruzzesi. A suo supporto, quindi, la candidata Einaudi ha anche la leggenda.
Può succedere di tutto, naturalmente, e molto di quello che è successo finora, in questa corsa allo Strega, è stato non prevedibile: l’alta qualità letteraria dei finalisti (sia in dozzina che in sestina), la diversità delle storie, l’importanza data alla lingua e alle parole tanto da renderle trama, la quasi completa interruzione di tutti i trend della narrativa contemporanea che, invece, solo l’anno scorso sembravano destinati a consolidarsi (l’autofiction e il biografismo sopra tutti); la seconda sestina della storia del premio (così composta: Paolo Di Paolo con Romanzo senza umani, Feltrinelli, Donatella Di Pietrantonio con L’età fragile, Einaudi, Tommaso Giartosio con Autobiogrammatica, minimum fax, Raffaella Romagnolo con Aggiustare l’universo, Mondadori, Chiara Valerio con Chi dice e chi tace, Sellerio, Dario Voltolini con Invernale, La Nave di Teseo); gli stilisti che, per la prima volta, vestiranno gli scrittori (ne abbiamo dato notizia lunedì su questo giornale), scatenando vibranti polemiche di certuni a parere dei quali la cosa rappresenterebbe un imperdonabile vilipendio alla letteratura.
Tornerà lo spoglio dal vivo, annunciato in conferenza stampa ieri: gli ultimi cento voti saranno scrutinati uno per uno fino alla proclamazione. La diretta della cerimonia verrà trasmessa sulla Rai. A condurre la serata, per la prima volta, saranno in due: Geppi Cucciari e Pino Strabioli. Tutti si aspettano un nuovo episodio del Cucciari vs ministro Sangiuliano: l’anno scorso lei gli tirò fuori l’epico: «Proverò a leggerli».
Proviamoci tutti, ne vale la pena.