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Mauro Zanon 13 febbraio 2025
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Il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, lo aveva presentato come l’evento più importante di sempre in materia di intelligenza artificiale, il vertice decisivo per allineare i grandi del mondo su una governance sostenibile dell’IA, con la Francia nel ruolo di locomotiva di questa rivoluzione. Si è rivelato invece un flop il Summit for Action on AI che si è tenuto a Parigi il 10 e l’11 febbraio, perché gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno rifiutato di firmare la dichiarazione finale che mette nero su bianco l’impegno a sviluppare sistemi di intelligenza artificiale «aperti, inclusivi, trasparenti ed etici», sottoscritta da 61 Paesi, tra cui Francia e India, co-organizzatori dell’evento, e Cina.
Nel documento, che il premier britannico, Keir Starmer, ha ritenuto in contrasto con «l’interesse nazionale», i firmatari hanno chiesto un coordinamento più forte della governance dell’IA, basata su un «dialogo globale», e di evitare la «concentrazione del mercato» in modo che la tecnologia sia più accessibile. Tra le priorità menzionate nel documento figura anche quella di «rendere l’intelligenza artificiale sostenibile per le persone e per il pianeta». A tal fine, durante il vertice, è stata formalizzata la creazione di un osservatorio sull’impatto energetico dell’IA, guidato dall’Agenzia Internazionale per l’Energia, che mira a riunire le aziende leader del settore.
Sul piatto 200 miliardi di euro: la sfida di Ursula von der Leyen a Elon Musk
«Qui poniamo le basi, insieme all’innovazione e all’accelerazione, di ciò che permetterà all’intelligenza artificiale di realizzarsi e di affermarsi, ovvero le chiavi della fiducia», ha commentato il presidente francese, Emmanuel Macron, a conclusione del vertice. Ma per il momento, ad andare in scena, è soprattutto la competizione mondiale tra Washington e Pechino, la divisione del mondo tra Stati Uniti e Gran Bretagna da una parte e Unione europea e Cina dall’altra. Durante il suo intervento di ieri, il vicepresidente americano, J.D. Vance, ha criticato apertamente l’eccessiva regolamentazione, sostenendo che rischia di «uccidere un’industria trasformativa proprio mentre sta decollando».
«Il futuro dell’AI non sarà vinto da chi si tormenta sulla sicurezza», ha sottolineato Vance, prima di aggiungere: «Lo si otterrà costruendo centrali elettriche affidabili e strutture di produzione in grado di produrre i chip del futuro». Nel suo discorso, il vice di Trump non ha mai nominato né Pechino né DeepSeek, la startup cinese a basso costo e altissime performance che ha lanciato la sfida a ChatGPT. Tuttavia, quando ha menzionato i «regimi» che stanno utilizzando l’IA per aumentare il controllo non solo sui propri cittadini ma anche su quelli di altri Paesi, era chiaro il riferimento alla Cina. «Collaborare con loro significa incatenare la vostra nazione a un padrone autoritario che cerca di infiltrare, scavare dentro e appropriarsi della vostra infrastruttura informativa.
Diventare partner di questi regimi è sempre sbagliato nel lungo termine», ha avvertito Vance. Londra, sulla scia di Washington, ha precisato di non aver potuto «concordare tutte le parti della dichiarazione dei leader» e che avrebbe firmato solo «iniziative che siano nell’interesse nazionale britannico». Ieri, la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha annunciato l’iniziativa “InvestAI”, che mira a mobilitare 200 miliardi di euro per investimenti nel settore, con un nuovo fondo europeo di 20 miliardi di euro per le gigafactory di IA. E ha negato che l’Ue sia in ritardo rispetto a Stati Uniti e Cina, perché «la corsa è solo all’inizio, la frontiera è in continuo movimento e la leadership globale è ancora in palio». Per il momento, però, la partita è a due, e l’Europa è mera spettatrice.